EXCALIBUR 86 - aprile 2015
in questo numero

Salviamo almeno la Tunisia!

L'altra sponda del Mediterraneo, crocevia delle nostre scelte

di Angelo Marongiu
Sopra: le donne, vere protagoniste dello sviluppo democratico in Tunisia
Sotto: l'intervento delle forze speciali tunisine al Museo del Bardo
Il 14 gennaio 2011, il piccolo paese del Nord Africa ha acceso la miccia delle "primavere arabe". Dopo quella di Tunisi ne sono succedute altre, più o meno spontanee, più o meno portatrici di istanze di libertà, ma comunque generatrici di movimenti intesi a rovesciare situazioni di fatto non più tollerate: Egitto, Siria, Libia e anche Yemen.
Ma la Tunisia è l'unico paese nel quale la "primavera" non ha avuto sbocchi drammatici, come ad esempio in Siria o in Libia, o non è sfociata in regimi autoritari, come in Egitto.
Essa, pacificamente, si è incanalata in una dinamica decisamente democratica. Ha portato all'instaurazione di un regime di libere elezioni, un normale ricambio tra i partiti e una effettiva libertà di stampa. La Tunisia sembra avviata verso la costruzione di un modello democratico di Stato islamico.
L'attacco contro il Parlamento a Tunisi, sfociato poi nel massacro del Museo del Bardo, è visto dagli analisti come il tentativo di colpire un simbolo, quello dell'unico esperimento democratico emerso dalle "primavere" arabe.
È la stessa tesi macabramente esposta in un video dai terroristi di Boko Haram che - nel gennaio di quest'anno - prima di una strage nella città di Baga, pare oltre duemila vittime, urlavano agli abitanti del luogo: «Dovete scegliere tra islam e democrazia, tra la vita e la morte».
Il percorso attraverso il quale la Tunisia è arrivata a una maturazione complessiva non è stato facile e più di una volta ha rischiato di arrestarsi, anche in modo traumatico. Ci sono state vittime, tra le quali due parlamentari leader dell'opposizione (Chokrè Belaid e Mohamed Brahmi, uccisi nel 2013) e forti dissensi interni al paese con manifestazioni di intolleranza, nelle quali movimenti integralisti hanno cercato di condizionare il processo politico.
Ma alla fine - testimonianza di un confronto acceso ma democratico - la nuova Costituzione è stata approvata con 200 voti a favore, 12 astenuti e 4 voti contrari. Testimonianza anche di come un partito, Ennhada, pur proveniente dalla galassia dell'islam politico, può essere protagonista di un processo di evoluzione democratica.
Occorre sottolineare che il processo democratico che comunque permea la vita politica della Tunisia ha origini lontane.
La Tunisia, insieme al Marocco, ha un assetto democratico che nasce dagli anni Cinquanta, quando questi paesi hanno resistito al contagio autoritario del nascente regime nasseriano e panarabista.
La sinistra di tutta Europa, in prima fila ovviamente la nostra italiana, bollava quei paesi come "lacchè dell'imperialismo".
Habib Bourghiba in Tunisia e Muhammed V in Marocco, rifiutarono violentemente il nasserismo imperante, sbandierato come movimento di rinascita del mondo islamico (già da allora!), non temendo gesti eclatanti come la proposta di riconoscimento dell'esistenza dello stato di Israele, che - con estremo coraggio - Bourghiba propose nel marzo 1965. Il Marocco arriverà molto più tardi, nel 1994, ma il riconoscimento di Israele connota la similitudine dei due paesi che - nel marasma del Nord Africa - si sono sempre distinti per moderazione e spirito di libertà.
Ma la rivoluzione più profonda che parte da anni così lontani ha un fondamento solido nella vecchia Costituzione che ha riformato profondamente il Codice di Famiglia.
Quando Bourghiba, e siamo nel 1956, affidò al giureconsulto musulmano Tahir al Addad l'incarico di scardinare le leggi shariatiche tradizionaliste e di rivederle in un'ottica di modernizzazione, pur restando nel solco di "uno spirito islamico" rivisitato (e altrettanto fece il re del Marocco che - quale discendente diretto del Profeta - lo impose al suo Parlamento), venne sancita un riforma che pose le basi per una partecipazione di tutto il paese a una attiva vita democratica.
L'eliminazione del criterio di sopraffazione anche violenta dell'uomo sulla donna, la parificazione dei diritti di uomo e donna, l'abolizione della poligamia e dell'istituto del ripudio esclusivamente maritale, hanno consentito il consolidamento di una società plasmata sul nucleo basilare - la famiglia - che consente già nel piccolo microcosmo della casa di esercitare quelle forme di convivenza paritaria che sono l'essenza della vita democratica.
Se a tutto ciò si aggiunge una fortissima spinta all'alfabetizzazione di massa si comprende la positiva anomalia dei due paesi arabi e il motivo per il quale il respiro democratico si avverte in modo tangibile.
Ecco perché in Tunisia l'attacco al Museo del Bardo (dopo la Francia e la Danimarca) è un attacco non casuale a un paese democratico. Paradossalmente è un attacco al principio di convivenza tra islam e democrazia. Perché proprio le leggi democratiche - applicate in un paese islamico - sono l'arma più efficace per combattere la barbarie terrorista.
Ma la democrazia non è un processo di vita facile per chi l'ha respirata da poco tempo: si vive in una società non protetta dall'alto ed essa ha bisogno di cittadini capaci di affrontare e vivere contraddizioni e contrapposizioni. E la Tunisia, così vicina a focolai tumultuosi quali l'Egitto, la Libia e l'Algeria, ha visto una frangia della propria gioventù in preda alla confusione ed è questo - forse - il motivo per il quale centinaia di ragazzi e adulti si sono arruolati sotto le bandiere nere dell'Isis.
Quindi non ricominciamo a piangerci sopra. Noi occidentali siamo sempre convinti di conoscere, meglio degli assassini stessi, le motivazioni di chi uccide: secondo la nostra intellighentia spocchiosa e saccente essi sono sempre vittime delle privazioni economiche e dell'alienazione della modernità. Ovviamente, quindi, vittime del mondo occidentale arraffatore e colonialista. Quindi indirettamente siamo noi ad armare, sempre, le mani dei fanatici. Non ci sfiora il dubbio che una parte del mondo abbia sviluppato e si nutra di una cultura, chiamiamola comunque così, con valori e manifestazioni dissimili dalla nostra e in profonda contraddizione con i nostri valori, culturali, economici e - anche se non ci fa comodo - religiosi. E allora la Tunisia va difesa non perché è simile a noi ma, soprattutto, perché vuole essere diversa da quel mondo di fanatismo e intolleranza.
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