EXCALIBUR 66 - ottobre 2011
nello Speciale...

Il processo presso la Corte d'Assise di Cagliari

Casa Murgia è oggi il centro museale della civiltà contadina a Guspini: i Murgia erano fra i più facoltosi imprenditori agricoli del paese. La sorella di Antonio, donna Caterina, ultima discendente della famiglia, lasciò la casa in eredità al Comune, col vincolo che la restaurasse e la adibisse a museo. Scontato che nessun sito di Guspini parli della loro tragedia familiare
Il processo ebbe luogo nel mese di ottobre del 1949 presso la Corte d'Assise di Cagliari. Il Mannai esordì asserendo: «Sì ho peccato, ho ucciso e ferito, ho fatto del male a chi nulla mi aveva fatto se non del bene».
Si contraddice e al giudice che glielo fa notare dice: «Furono le percosse, furono i miei occhi gonfi e la mia bocca livida e la mia mascella contusa a farmi dire ciò che si voleva far dire». E, ancora: «Ho ucciso perché i fascisti si riorganizzavano, perché agli operai era negato il diritto di vivere, perché mi seguiva il ricordo delle persecuzioni subite da chi avversava il fascismo». Ancora: «Mi proponevo di intimidire più che di uccidere. Lanciai la bomba contro il carabiniere che mi inseguiva non per danneggiarlo ma per farmi luce in una notte buia».
Mannai, ferito, si rifugiò nella casa di Fanari, qui ricevette le prime cure, qui lo raggiunse il sindaco Saba. Fanari asserì di aver redarguito il Mannai. Così pure il sindaco Saba, ma costui non spiegò perché tentò di aggravare la situazione del Tuveri, indiziato come autore della strage, pur sapendolo innocente.
Messo a confronto con Saba e Fanari, Mannai esclamò: «Sono stato un pazzo a darvi retta». Ma, nel corso del processo, chi diede il colpo di grazia al sindaco Saba, rappresentato dalla difesa come un bonaccione e un moderato, fu, ironia della sorte, il futuro biografo di Gramsci, Berlinguer, Lussu e dell'anarchico Schirru, nonché senatore comunista, il giornalista e scrittore Giuseppe (noto Peppino) Fiori.
Il suddetto, il 5 ottobre, pubblicò su "L'Unione Sarda" un articolo dal titolo "Un documento in possesso del nostro giornale", sottotitolo "La strage di Guspini alle Assise di Cagliari".
L'articolo riportava una lettera del Saba, datata 24 marzo 1945, scritta su carta intestata del Pci e indirizzata al segretario comunista di Iglesias: «Caro compagno, mi è stato riferito che in codesta città risiede attualmente il segretario comunale Ghiani Antonio, ex squadrista antemarcia, sciarpa littorio. Questo losco individuo ha molti peccati sulla coscienza: a lui sono dovuti i numerosi arresti, persecuzioni, confino di molti compagni. Fra i quali il sottoscritto. Ti prego di sorvegliarlo attentamente e se si presenta l'occasione propizia di sistemarlo come merita. Saluti fraterni. Il segr. E. Saba".
Diceva Fiori, nel proseguo dell'articolo: «Il tutto era falso. Il Ghiani era stato solo segretario del fascio in un piccolo paese».
La lettera fu immediatamente richiesta dal tribunale e messa agli atti del processo. Proseguiva, intanto, l'audizione dei testi. Il Mannai asserì di aver avuto la bomba a mano da Umberto Pisu per 150 lire, Pisu a sua volta dichiarò di averla avuta dal giovane Mario Ala per poter pescare... arselle! Mario Ala negò tutto. L'unico imputato a piede libero affermò di non aver parlato prima perché aveva paura di Fanari.
Il 6 ottobre, "L'Unione Sarda", con un articolo, sempre a cura di Fiori, dal titolo: "Rivive il delitto di Guspini nelle deposizioni dei testimoni", ci fece sapere: «Testimonia il dott. Giannetto Camoglio (medico condotto). Perse un occhio nell'attentato. Non era fascista, aveva curato, senza alcun compenso, il feritore e la sua famiglia. Ma anche il non essere comunista non era gradito. Il terrore portò il dott. Camoglio a desistere da ogni velleità di riorganizzazione del nucleo locale del Partito Sardo d'Azione.
Segue sulla pedana il geometra Saba, anche lui ferito. Nega che si tenessero riunioni fasciste. È cugino del sindaco Saba, ma i rapporti con il sindaco si intiepidirono quando costui divenne comunista.
Depone il carabiniere ora appuntato Francesco Spanu, non fu il solo ferito dal lancio della seconda bomba a mano, anche un vecchio e una bambina allora di otto anni furono colpiti anche se non gravemente.
I fratelli del morto, Eugenio e Egidio dicono che, nel corso di un corteo, capeggiato da Saba, i dimostranti avevano rivolto grida minacciose contro il fratello.
Il maresciallo Lecis racconta, fra l'altro, che il barbiere del carcere invitò Mannai a ritrattare, ma egli non acconsentì e lui si vendicò facendogli la barba a secco. Vaccargiu Luigi che aveva subito un processo di epurazione, venne privato di un terreno comunale dato al Mannai che pagava un canone inferiore al suo. Saba tentò di farlo estromettere dalla locale sezione combattenti, lo minacciò e infine il primo novembre 1946 subì un attentato dinamitardo. Artemisio Uccheddu dichiara: "Avevamo costituito una sezione del partito qualunquista, subito dopo una bomba colpì l'abitazione del segretario e in seguito anche me".
L'ufficiale postale Enrico Garau, che, notoriamente antifascista, aveva l'unico torto di non pensarla come i comunisti, la sera del 9 luglio '44 venne bastonato a sangue. Si recò dal maresciallo dei carabinieri, il quale gli disse che non c'era niente da fare, data la situazione generale. Dopo due giorni una bomba esplose nella porta della sua abitazione. Si reca di nuovo dal maresciallo dei carabinieri e, mentre è con lui, un'altra bomba esplode nella casa del dott. Corona.
Il Garau che aveva la porta di casa divelta, non la potè riparare: ben tre falegnami interpellati non intervennero perché minacciati. Non era fascista Eugenio Saba, tre volte dinamitato e neppure lo era il repubblicano storico Luigi Tuveri, ingiustamente accusato del delitto dai comunisti, reo solo di avere una edicola che faceva concorrenza a una edicola di un comunista.
Depone un comunista: "Nel novembre del 1946 ci fu una riunione del Fronte della Gioventù
(l'organizzazione giovanile del Pci, n.d.r.). Si parlò di fascisti con particolare riferimento al prof. Murgia: il presidente dell'assemblea Lecca sostenne che bisognava eliminarlo. Si gridò: "morte al Murgia".
Per chi picchiava e per chi aggrediva non sarebbe mancato un compenso. I testi riferiscono di un giovane al quale per l'esecuzione di una rissa erano state date 400 lire e se ne lamentava e diceva che gi erano stati promessi mari e monti.
Una sera, a Guspini, venne picchiato persino il capo de Cln di Flumini, ma nessuno fece indagini per scoprire i colpevoli. E infine l'ultima stoccata contro il sindaco: "Saba, dopo l'omicidio, deplorò i compagni che si erano prestati a sollevare i resti del Murgia, e si rifiutò di parlare in occasione dei funerali del medesimo"
».
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