EXCALIBUR 101 - gennaio 2018
in questo numero

Sicilia: quando la mediocrità garantisce la vittoria

Sistema clientelare, inconsistenza degli avversari e disaffezione per la politica: ecco ciò che ha reso possibile la vittoria del Centrodestra

di Ignazio Parisi
Sopra: i cinque contendenti alla Regione Sicilia
Sotto: spesso la Sicilia è stato il banco di prova di nuove alleanze
Chiudete il sipario, lo spettacolo è finito. O forse no. Di certo le recenti elezioni siciliane rappresentano un esempio paradigmatico dell'andazzo attuale della politica italiana, ma ancor di più sono esemplificative del funzionamento del "sistema Sicilia", che poi altro non è che la versione caricaturale del più grande e forse più marcio "sistema Italia". Fra coalizioni che si rompono, altre coalizioni improbabili che si assemblano per l'occasione, liste di impresentabili, liste di "onesti" sconosciuti, liste bocciate e indipendentisti della domenica, i critici della mentalità politica isolana hanno avuto acqua per il proprio mulino in abbondanza. Ma veniamo a noi.
La tornata elettorale del 5 novembre scorso ha visto ben cinque candidati contendersi la regione più vasta d'Italia. La sinistra si è presentata divisa, con Micari, rettore dell'Università di Palermo, come candidato del Pd e Claudio Fava alla testa di una coalizione formata da numerose sigle della sinistra radicale. Segue il Movimento Cinque Stelle, come di consueto in corsa da solo, con il proprio candidato Giancarlo Cancellieri. Infine abbiamo l'indipendentista Roberto La Rosa e ovviamente lo schieramento vittorioso di centrodestra capeggiato dal Presidente eletto Nello Musumeci. Ovviamente non sono mancate le polemiche, in primis a sinistra, in quanto da più parti è stato sollevato il problema della divisione del suddetto schieramento che, a sentire alcuni (come l'ex Presidente Crocetta) sarebbe stata la causa principale della vittoria di Musumeci. Pare che a sinistra non vadano molto d'accordo con la matematica se sostengono ciò, in quanto ignorano che anche sommando le percentuali di voti ottenuti da Pd e soci più quelli di Fava (rispettivamente 18,65% e 6,15%) comunque la sinistra sarebbe rimasta al terzo posto o verosimilmente avrebbe addirittura visto ridurre i propri voti, considerato che taluni esponenti della sinistra radicale considerano il Pd un partito "di destra" e quindi con ogni probabilità non sarebbero andati a votare.
Ma lasciamo pure che lor signori alimentino questa illusione, utile per nascondere la vera ragione della propria sconfitta, ovvero il fatto che la sinistra, per quanto ci provi e ci abbia provato, non sa governare, come ha ampiamente dimostrato in Sicilia, regione prossima al fallimento. E non sa farlo per un motivo molto semplice. Non per mancanza di gente teoricamente preparata, per carità, ma per il semplice fatto che per fare il bene di qualcuno devi volergli bene. Questo si applica agli individui come alla comunità politica. Come potrebbe la sinistra fare l'interesse nazionale se a sinistra manca alla radice l'idea stessa di Nazione? Ovvio che non può. Governare, una Nazione o una regione, non è semplice amministrazione: è avere una visione di bene comune, da materializzare tramite l'attività politica. A sinistra manca questa visione e, ammesso che ci sia, non è una visione di bene comune. Bene sì, ma sempre di qualcun altro. E gli elettori chiaramente se ne accorgono, cosa che spiega anche come mai la sinistra in Italia non abbia mai, storicamente, vinto un'elezione per meriti propri, ma solo per l'eccessiva debolezza dell'avversario, magari annichilito per motivi giudiziari.
Che dire degli altri schieramenti in campo? Il movimento di Grillo rimane primo partito ma non riesce comunque a conquistare la presidenza. Un motivo è che, ora come ora, le singole liste non riescono più a essere determinanti in quanto tanto il sistema elettorale nazionale quanto quelli delle singole regioni finiscono sempre per favorire le coalizioni. Ovviamente non è solo questa la ragione. Un altro motivo va ricercato nella conformazione del "sistema Sicilia", che mentre ha impedito ai grillini di vincere ha invece permesso alla vasta coalizione in appoggio a Musumeci di ottenere la Presidenza. Stiamo parlando di un sistema fondamentalmente clientelare, basato su favoritismi reciproci. Favoritismi che si sviluppano su un sistema reticolare, che partono dal singolo consigliere o assessore eletto per poi discendere alla cerchia di "clienti" più prossima, e da questa alla cerchia più distante, fino a raggiungere ogni singolo cittadino che, in cambio della preferenza espressa in favore di un determinato candidato, si aspetta un ritorno in termini di vantaggi strettamente personali. Quando il cittadino siciliano medio vota, non lo fa perché vuole che una visione politica ottenga dei seggi e possa quindi operare per il bene della comunità, ma lo fa perché si aspetta una "ricompensa". Il voto siciliano, come anche il voto italiano, in fin dei conti non è un voto di appartenenza. Non è neanche un voto di opinione. Nella dissoluzione totale delle ideologie e dei chiari riferimenti politici, ognuno, come è ovvio, pensa per sé. Chi non capisce questo non può comprendere il risultato delle elezioni siciliane.
Da più parti infatti ci si è chiesto come sia stato possibile che il centrodestra, lo stesso schieramento di cui fecero parte ai tempi i presidenti Cuffaro e Lombardo, entrambi costretti alle dimissioni a causa di pesanti condanne, abbia potuto ottenere nuovamente la Presidenza. Come dimenticare i dibattiti giornalistici e politici circa la presenza dei candidati cosiddetti "impresentabili" e voltagabbana, presenti più o meno in tutte le liste ma in maggior numero nelle liste di centrodestra? Pensiamo ai casi più noti. Come Luigi Genovese, figlio di Francantonio (eletto alla camera con il Pd e poi passato a Forza Italia), che attualmente risulta indagato perché, secondo gli inquirenti, il padre dopo aver ricevuto una condanna per truffa e peculato a 11 anni gli avrebbe intestato dei conti all'estero. Altri casi noti sono quelli di Antonello Rizza (Forza Italia), sindaco di Priolo, con una ventina di capi di imputazione, e quello di Cateno De Luca, arrestato pochi giorni dopo l'avvenuta elezione, ma che due giorni dopo l'arresto viene assolto per via della prescrizione dei reati contestategli.
Certo, non bisogna scadere nel giustizialismo giacobino pentastellato, considerando "impresentabile" anche chi, pur essendo egli stesso incensurato, è magari legato da rapporti di parentela con gente indagata o condannata. Non bisogna neanche trascurare il fatto che chi ricopre posti di rilievo, nella amministrazione e nella politica, è sempre soggetto al rischio di ritrovarsi, da un giorno all'altro, con un capo di imputazione sul groppone, mentre è chiaro che gente sconosciuta, come i candidati grillini, che non ha mai ricoperto posti di rilievo, evidentemente non può correre questo rischio. Ma il fatto che deve far riflettere è che, nonostante la martellante retorica sui candidati "impresentabili" comunque il centrodestra ha vinto le elezioni. E questo è accaduto non soltanto per la ragione descritta prima, e cioè per via della natura clientelare del "sistema" (chi ricopre posti di rilievo può dispensare favori, che è anche la ragione per cui, nonostante la retorica sui volti nuovi, vengono candidati sempre gli stessi nomi), ma anche, e forse soprattutto, per via dell'inconsistenza degli avversari politici del centrodestra. Perché il punto della questione è questo: non esiste una reale alternativa.
Appurata la scomparsa della sinistra come reale contendente, non rimane che il centrodestra e il salto nel vuoto targato Cinque Stelle. Quest'ultimo, peraltro, alla prova del governo si è distinto in senso negativo, e, dopo i casi di Roma e Torino, riesce a vincere solo quando viene premiato dall'astensionismo, come nel caso di Ostia. La mancanza di una reale (e realistica) alternativa al centrodestra è la ragione della vittoria del centrodestra stesso, come anche una delle cause del sempre crescente astensionismo. Ricordiamo che in Sicilia ben il 53,24% degli aventi diritto non si è recato alle urne. Cinquantatrè percento che non ha votato non soltanto perché non viene raggiunto dal sistema reticolare dei favoritismi precedentemente descritto, ma forse, soprattutto, perché non sentendosi rappresentato da nessuno, semplicemente, si è disinteressato alle questioni politiche.
Rimane comunque apprezzabile, a fronte di tutto questo, il tentativo fatto dall'indipendentista La Rosa che, anche se è riuscito a raccogliere solo i voti della propria famiglia (o poco più), comunque ha accettato la non facile sfida, partecipando alla competizione.
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