EXCALIBUR 132 - settembre 2021
in questo numero

Afghanistan, "cuore di tenebra" dell'Asia

Chi afferma che gli errori del passato non si ripetono?

di Angelo Marongiu
Afghanistan, crocevia dell'Asia centrale, snodo di traffici
Afghanistan, sede di immense distese di papaveri, che ne rappresentano la coltura più redditizia
Sopra: Afghanistan, crocevia dell'Asia centrale, snodo di traffici,
sede di immense distese di papaveri, che ne rappresentano la
coltura più redditizia
Sotto: la splendida immagine della fotografa yemenita Boushra
Almutawakel, che mostra la progressiva scomparsa delle donne
afghane dalla scena del mondo
la splendida immagine della fotografa yemenita Boushra Almutawakel, che mostra la progressiva scomparsa delle donne afghane dalla scena del mondo
L'Afghanistan è stato definito da Karl E. Meyer nel suo "La polvere dell'Impero" come "una gola oscura". Più appropriata forse, per gli errori e gli orrori, la definizione conradiana di "cuore di tenebra".
Questo paese, misteriosamente idolatrato in modo viscerale dai romantici occidentali, presenta straordinarie difficoltà: confina a ovest con Iran e Turkmenistan, a nord con Uzbekistan e Tagikistan, a est e a sud con il Pakistan. Esso è poi unito alla Cina da una stretta striscia di terra, il "corridoio di Wakham", imposto dai cartografi imperiali allo scopo di evitare che Russia zarista e India britannica avessero una frontiera comune.
È uno snodo di importanza strategica eccezionale, preferita via di transito per le carovane cariche di merci sulla Via della Seta. Inoltre, dopo la scoperta già del 2010 di enormi risorse di litio, unitamente alla bauxite, al rame, al ferro e alle "terre rare", un patrimonio inestimabile è nelle mani dei padroni dell'Afghanistan.
È sempre stato un paese particolarmente appetibile, nonostante la palese ingovernabilità di un territorio da sempre diviso in zone di influenza di capi locali preoccupati esclusivamente della loro integrità territoriale e pronti a unirsi o a guerreggiare tra loro per motivi etnici, religiosi o ideologici.
Ci provarono i britannici nel XIX secolo e gli Afghani, dopo aver quasi annientato la guarnigione britannica (lasciarono in vita solo un uomo - il dottor Brydon - perché potesse "raccontare la storia"), accettarono una specie di protettorato (valido solo per gli affari esteri) acconsentendo a versare un pagamento annuale. Nel tracciarne i confini nel 1893 l'Inghilterra fece sì che molte tribù pashtun finissero nell'odierno Pakistan (la linea Durand), motivo per il quale un conflitto afghano-pakistano è sempre latente.
Nel 1919 - al termine della Prima Guerra mondiale - nello spirito della fine degli imperi coloniali, l'Afghanistan divenne indipendente dal controllo britannico.
Dopo la Seconda Guerra mondiale - nella quale il paese rimase neutrale - il regno di Zahir Shah nel frattempo installato fu rovesciato dal cugino Daud Khan, che proclamò la repubblica.
Cominciò nel 1973 lo splendido periodo d'oro di modernizzazione e di apertura liberale e Kabul divenne, insieme a Katmandu, la meta di tutti i sognatori occidentali. Le donne conobbero una notevole libertà fino a indossare la minigonna nelle Università.
La pace durò fino al 1978, quando il Partito Democratico del Popolo Afghano (Pdpa) filo-sovietico comincia "la rivoluzione d'aprile", che portò alla fine alla nascita della Repubblica Democratica dell'Afghanistan, sotto la guida di Mohammad Taraki.
Dopo la libertà di stampo occidentale comincia la sovietizzazione e la laicizzazione del paese, con crescente malcontento della popolazione, decisamente contraria a irregimentazioni ideologiche.
Comincia da qui la resistenza islamica armata, che culmina con l'uccisione di Taraki e la divisione del Pdpa in due fazioni contrapposte.
La paura che questa ribellione islamica contagi le vicine repubbliche di Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, spinge l'Unione Sovietica a oltrepassare i confini e invadere l'Afghanistan, nel dicembre 1979.
Ha inizio così l'occupazione sovietica e, dall'altra parte, l'avvio del piano di aiuti militari ed economici americani per contrastare l'avanzata dei Russi.
Il piano di aiuti clandestini fu messo in atto dal presidente Carter e dal Consigliere per la sicurezza nazionale Zbignew Brzezinski: per il tramite del Pakistan arrivarono alla resistenza afghana miliardi di dollari di aiuti dall'Arabia Saudita e dagli altri sceicchi del Golfo e le armi per la guerriglia. Il segreto intento era ovviamente quello di contrastare un Afghanistan occupato dai sovietici e sperare che un regime fondamentalista insediato a Kabul potesse poi rivolgersi verso l'Asia centrale sovietica e trascinare le repubbliche a maggioranza islamica con il loro esempio.
La politica americana, disastrosa dal punto di vista politico e morale, continuò anche col presidente Reagan e, nonostante Gorbaciov avesse annunciato il ritiro delle sue truppe, i militanti afghani continuarono a ricevere l'ultimo modello dei missili terra-aria Stinger a riconoscimento termico dell'obiettivo e altri armamenti sofisticati non più necessari.
Bush padre pose termine a questi rifornimenti, ma Pakistan e Arabia Saudita continuarono imperterriti a rifornire i talebani di armi e denaro. In pratica la Cia aveva contribuito a finanziare, rifornire e addestrare una rete di militanti islamici, una nuova generazione di terroristi.
Nel febbraio 1989, quando l'ultimo soldato sovietico attraversò il Ponte dell'Amicizia, abbandonando definitivamente l'Afghanistan, i funzionari della Cia stapparono le bottiglie di champagne per festeggiare l'avvenimento. E fu forse l'ultima occasione per gli Americani di festeggiare qualcosa che riguardasse quell'oscuro paese.
Da quel 1989 cominciarono le lotte interne e solo nel 1992 il regime comunista di Kabul cadde abbandonato armai da tutti i suoi alleati. E mentre i contadini afghani tornarono alla loro coltura preferita - il papavero da oppio - i signori della guerra, ricchissimi per il traffico di droga, fecero a pezzi il paese dividendolo in tante signorie litigiose in perenne conflitto tra di loro.
Bisogna aspettare ancora e arrivare al 1996 quando un nuovo movimento, i talebani - "gli studenti" o "i cercatori" - entrarono a Kabul, catturarono il leader comunista Najibullah, lo castrarono, lo linciarono e ne appesero il corpo in una piazza.
Da allora tutto cambiò: gli uomini dovevano portare la barba e le donne dovevano abbandonare le scuole e i posti di lavoro e uscire per strada solo se accompagnate da un parente maschio. Fuori legge la televisione, il cinema, la musica e tutte le altre modernità non giustificate dal Corano. I talebani si impadronirono così di tutto l'Afghanistan, eccetto il confine settentrionale del paese, e divenne subito chiaro che la loro intenzione era quella di esportare la rivoluzione islamica nel resto del mondo.
Del resto al loro interno operavano circa trentacinquemila militanti musulmani arruolatisi come volontari nel "Jihad afghano" provenienti da quaranta paesi.
Quando questa massa di fanatici, dopo l'occupazione della "pura" Kabul, fecero ritorno a casa, portarono con sé l'idea della rivoluzione islamica capace di abbattere ogni difficoltà.
E mentre gli Stati Uniti erano impegnati in un altro fronte turbolento, l'Iraq, li troviamo in Kashmir, Sudan, in Cecenia, nel Kosovo, forti della loro organizzazione e del loro addestramento.
In Afghanistan i talebani controllavano ormai circa il 90% del territorio: l'unica resistenza fu quella del mujaheddin tagiko Ahmed Shah Massoud ("il leone del Panjshir"), che fu assassinato il 9 settembre, qualche giorno prima degli attentati al World Trade Center e al Pentagono.
Colui che fu ritenuto il responsabile principale dell'attentato dell'11 settembre 2001 - data indelebile nel mondo occidentale - Osama Bin Laden si trovava in Afghanistan, protetto e difeso da una schiera di fanatici aderenti alla sua organizzazione al Qaeda.
Il 7 ottobre 2001, dopo il rifiuto dei talebani di consegnare Osama Bin Laden, comincia l'invasione americana dell'Afghanistan con il consenso dell'Occidente e il sostegno di Gran Bretagna, Canada, Australia, Germania e Francia.
Il resto è storia recente che ognuno di noi certamente ricorda. Il contingente americano cresce di numero nonostante la contemporanea guerra in Iraq, poi la crisi economica, le bare avvolte nella bandiera americana, il ritorno a casa dei soldati colpiti nel fisico e nello spirito che sempre meno comprendevano il senso di quella carneficina cominciarono a far maturare negli Stati Uniti il desiderio di ritiro.
Desideri e promesse che divennero centrali nelle successive campagne presidenziali. Obama, insignito subito dopo la sua elezione del Premio Nobel per la Pace nel 2009, aveva promesso di porre termine a un'occupazione (fu definita proprio così) che ormai durava da sette anni.
Joe Biden, allora suo vice, disse all'inviato speciale della Casa Bianca in Asia Centrale Richard Holbrooke che «l'America doveva andarsene dall'Afghanistan senza pensare ai vincoli umanitari».
Dopo la morte di Bin Laden nel maggio 2011 in un compound di Abbottabad in Pakistan, restavano sul campo solo 80 mila soldati americani e la gestione della sicurezza passò alla forza militare afghana, addestrata anche da contingenti della Nato.
Nonostante i talebani non frenassero mai la guerriglia a gli attentati (diretti maggiormente contro gli Afghani e non contro militari stranieri) si arrivò all'accordo firmato a Doha il 29 febbraio 2020 tra il Segretario di Stato americano Mike Pompeo (presidenza Trump) e il mullah Abdul Ghani Baradar, futuro leader dell'Emirato islamico. Era assente il governo afghano e quindi l'intesa fu aspramente criticata dal presidente Ashraf Ghani.
L'arrivo di Biden alla Casa Bianca diede un impulso a tale ritiro, effettuato senza tener conto della situazione sul campo, senza una adeguata strategia militare di copertura e senza alcuna precauzione per i civili e i collaboratori afghani.
Dopo migliaia di miliardi di dollari, 2.400 morti e oltre 20 mila feriti, l'avventura era conclusa.
L'approccio di Biden aveva suscitato innumerevoli critiche dal punto di vista umanitario e della sicurezza e contrastava le pressanti raccomandazioni dei militari che chiedevano di mantenere una presenza di almeno 2.500 soldati.
Il resto è ormai cronaca. Kabul è caduta il 15 agosto 2021.
E della conseguente situazione e delle prospettive future potremo parlarne un'altra volta.
L'affermazione di Biden nella sua disastrosa conferenza stampa davanti alla tragedia e alla farsa che si consumava in quel paese ha un sapore surreale: «Eravamo lì per combattere il terrorismo, non per costruire una nazione#187;.
La nazione non è stata costruita e gli oltre 170 morti (di cui 13 marines americani) dell'attentato all'aeroporto di Kabul testimoniano che il terrorismo è sempre vivo e non è mai stato scalfito.
Fa il paio con la dichiarazione di Brzezinski, che dopo l'arrivo dei talebani a Kabul nel 1992 affermò: «Cosa è più importante per la storia del mondo? I talebani o il collasso dell'impero sovietico? Qualche musulmano esaltato o la liberazione dell'Europa centrale e la fine della guerra fredda?».
Di questa mancanza di prospettiva ne paghiamo e ne pagheremo ancora le conseguenze.
Gli errori e la cecità degli Stati Uniti e l'infinita catena di orrori che ne sono derivati appaiono ora in tutta la loro completa drammaticità. Gli Afghani detengono l'invidiabile primato di aver sconfitto la Gran Bretagna, l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti.
Non credo ci sarà un prossimo concorrente.
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