EXCALIBUR 77 - marzo 2014
in questo numero

Democrazia reale o democrazia virtuale?

Spazi virtuali di democrazia: un nodo ideologico che diventa politico

di Angelo Marongiu
Sopra: i conflitti sul concetto di democrazia non avranno mai fine
Sotto: Jean-Jacques Rousseau (1712-1778): l'eterno idolatrato cantore dell'innocenza
Il dilemma sulla effettiva capacità rappresentativa delle diverse forme di democrazia è vecchio di secoli. La contrapposizione Locke-Rousseau è sempre stata uno stimolante terreno di scontro nell'ambito della filosofia politica.
John Locke (1632-1704) partiva da una premessa: il popolo rinuncia a una parte della sua sovranità a patto che vengano garantiti a tutti i cittadini alcuni diritti e una quota fondamentale di libertà individuali (proprietà privata, diritto alla vita e una giustizia equa, cioè i cosiddetti "diritti di natura", poiché in natura tutti gli individui sono liberi e uguali). In cambio della rinuncia alla sua sovranità e della salvaguardia di tali minimi diritti, esso delega ai suoi rappresentanti - democraticamente eletti - l'esercizio della propria volontà.
In tal modo la cosiddetta democrazia rappresentativa diventa quel sistema politico liberale nel quale i delegati hanno il potere di trasformare la volontà popolare in atti legislativi validi per tutti gli individui. Tutto questo nel quadro di garanzie costituzionali che ne salvaguardino lo schema democratico. Il maggior critico della forma di democrazia rappresentativa fu Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), il più importante assertore della democrazia diretta.
Egli sosteneva che il governo doveva essere un semplice esecutore della volontà popolare, non quindi un "interprete" di tale volontà.
Il popolo deve poter governare senza mediazioni di nessun genere: per Rousseau la democrazia è la realizzazione dell'assoluta identificazione tra governante e governato, poiché l'unico detentore del potere (assoluto) è il popolo stesso.
Questo concetto - di per sé elementare e indubbiamente pieno di fascino - è l'ispiratore della cosiddetta e-democracy, tradotta nella realtà dalla democrazia elettronica.
In apparenza è bellissimo: in un sol colpo sono spazzati via istituzioni, partiti, sindacati. Il popolo esercita il suo potere inalienabile in modo diretto e democratico.
Ma, alla fine, anche questa si rivela come l'ennesima speranza irrealizzabile, l'eterna utopia.
La rete digitale è nata per esigenze militari, per garantire la sicurezza nazionale: il suo passaggio dall'ambito prettamente militare a quello civile ha portato al suo incredibile successivo sviluppo, soprattutto nelle società esclusivamente individualistiche come la nostra. Non è un caso che nelle società nelle quali l'individuo è represso o controllato, la rete sia soggetta a limitazioni e controlli o addirittura a blocchi totali quando se ne ravvisi il pericolo dovuto alla mancanza di controllo totale della stessa.
Quando la rete si è sviluppata - ben oltre un decennio fa - aveva pochi strumenti interattivi (posta elettronica, newsletters, mailing list: strumenti ancora utilissimi e molto usati); successivamente si è arricchita di strumenti non più di sola comunicazione unidirezionale, ma di discussione vera e propria: forum, chat, blog e altri sistemi di interazione anche di gruppo.
È indubbio che questi strumenti che la "rete" offre permettano un maggior contatto tra le persone, abbattendo distanze geografiche e culturali e quindi in teoria offrendo maggiori opportunità democratiche: ma consentono forse di realizzare la tanto vagheggiata "democrazia diretta"?
Temo proprio di no.
Perché possa in qualche modo realizzarsi una democrazia diretta con l'uso della rete, occorrono tutta una serie di condizioni culturali, geografiche, politiche, antropologiche addirittura, che nella realtà non esistono affatto e che neanche in futuro - in società variegate come la nostra - potrà mai realizzarsi.
È forse possibile l'esercizio di una democrazia diretta tramite l'uso della rete in un paese come Esterzili, non certo a Roma, tantomeno in una nazione.
Inoltre la premessa che i fautori della e-democracy sbandierano a ogni piè sospinto, cioè che Internet è uno strumento democratico non è certamente vera. È democratico lo spazio virtuale, nel senso che esso si offre a tutti nello stesso modo e garantisce le stesse potenziali possibilità.
In realtà - proprio per queste caratteristiche e poiché chi vi si accosta ha giocoforza differenti livelli di cultura (ecco qui le differenze antropologiche) - la "rete" consente enormi possibilità di manipolazione delle masse. Non ci sono mediatori tra i soggetti che si pongono in contatto: pensiamo a quanta importanza riveste nel giudizio che diamo su una persona e su ciò che dice quello che noi vediamo di essa, il suo modo di parlare, di muoversi, il timbro di voce e altri fattori apparentemente superficiali, ma in realtà fondamentali nello scambio tra soggetti. Nella "rete" una persona qualunque, privata di questi elementi fisici e carente di capacità critica, può subire un potere di "persuasione" derivante anche dalla forzata semplificazione che la rete impone. I 123 caratteri di Twitter portano necessariamente alla divisione del mondo in bianco e nero, in buoni e cattivi.
La partecipazione democratica che la rete si illude di garantire diventa in tal modo la semplice dittatura di una minoranza: viene abolita ogni forma di individualismo, le uniche verità diventano quelle del "leader" e i conseguenti comportamenti privati e anche politici diventano semplice esecuzione di ordini impartiti dall'alto. Ci troviamo di fronte a un fenomeno di "elitismo" politico che interagisce con un populismo servile. Nascono così forme di assenso plebiscitario, fuori da ogni oggettivo controllo democratico. Lo slogan «Ro-do-tà, Ro-do-tà», che lo scorso anno risuonava in qualche piazza romana, non era un'espressione di democrazia, ma una mera ubriacatura mediatica.
Un vecchio saggio del 1993 di Regis Debray, "Lo Stato seduttore", analizzava le modalità attraverso le quali i messaggi simbolici potevano essere assorbiti dalla società. Debray ipotizzava che fosse lo Stato (seduttore, appunto) a diffonderli, in modo da condizionare il cittadino, assumendo quindi una funzione di "educatore". Era una tipica visione di sinistra.
Nella sua concezione di Stato - fortemente impregnato di ideologia politica - questo poteva avvenire grazie al monopolio che esso era in grado di esercitare sui mezzi di comunicazione di massa, dai giornali, alla radio, alla televisione. Ma l'avvento e la diffusione capillare dei mezzi informatici e delle potenzialità mediatiche in esso contenute, e soprattutto la disponibilità di questi strumenti a tutti i livelli, ha reso possibile che fossero figure diverse dallo Stato a poter "condizionare" la società o parte di essa: era sufficiente disporre di un certo carisma e di un messaggio che in qualche modo potesse essere in sintonia - vera o costruita - con il "sentire" della massa e il gioco era fatto.
In questo modo qualunque messaggio "anti-casta" poteva far breccia sulle persone, senza disporre di giornali o televisioni che ne ampliassero la diffusione. Un banale computer collegato in rete dispone della potenza di mille rotative e di milioni di televisori.
È innegabile che l'informazione diffusa attraverso la "rete" stia assumendo sempre di più un'importanza strategica nella costruzione delle coscienze politiche; questo avviene anche perché ormai sempre maggiori strati della popolazione non identificano più la televisione o la stampa come il luogo della verità, anzi li percepiscono come strumenti di manipolazione al servizio del potere.
La stampa e la televisione appartengono a "qualcuno", mentre la "rete" appartiene a tutti e quindi è libera. Questa equivoca semplificazione ha illuso molti.
Il rifiuto dei vecchi strumenti di conoscenza e il rifugio in uno strumento considerato alternativo ha solo sostituito un padrone con un altro, ma il "lavaggio del cervello" per chi non ha difese culturali è il medesimo.
Chi usa la rete non è un attore politico privilegiato, la possibilità di "smanettare" in rete con il mouse ha solo alimentato l'illusione di creare una maggior democrazia, di essere in presenza di una democrazia diretta.
Siamo invece di fronte all'ennesima manipolazione e a un crescente arretramento della coscienza politica.
Il rifiuto del dialogo e del confronto sono solo le bandiere sventolate da chi è servo e non è capace di comprendere la realtà delle cose.
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