EXCALIBUR 94 - ottobre 2016
in questo numero

Breve storia della Zecca di Cagliari

La storia sconosciuta di un'istituzione cagliaritana

di Luca Alagna
Le monete coniate dalla Zecca di Cagliari
La Sardegna, nel periodo in cui fu dominata dalle Repubbliche di Pisa e di Genova, subì una radicale influenza culturale, politica, artistica e giuridica.
Per tali motivi non ebbe la possibilità di conquistarsi una propria autonomia economica coniando una moneta propria (fatta eccezione per la parentesi dei "grossi tornesi", coniati da Guelfo e Lotto della Gherardesca, alla fine del XIII secolo, subito ritirati e fusi).
Successivamente furono i sovrani aragonesi a istituire in Sardegna delle zecche distinte, con lo scopo di avere una propria monetazione indipendente. Fu così che la città di Cagliari ottenne da Giacomo II d'Aragona, il diritto di avere una propria zecca (27 agosto 1327): la Zecca di Cagliari, che però non iniziò subito una vera produzione in quanto le monete venivano ancora coniate in quella di Villa di Chiesa (Iglesias).
Si dovette aspettare Pietro IV d'Aragona, che, con legge (o Prammatica) del 1338, ordinò la coniazione della prima moneta d'oro sardoaragonese nella Zecca di Cagliari, lasciando a Villa di Chiesa la coniazione delle monete argentee. Sembrava che la coniazione avrebbe avuto inizio nei primi mesi del 1339 sotto la direzione del Catalano Arnau de Lor, ma motivi di carattere tecnico e politico ne impedirono la naturale circolazione; la conseguenza fu la rifusione delle stesse facendo perdere ogni traccia dell'originale coniazione.
Ma poi arrivarono i contrasti fra il Re di Aragona e il Giudice di Arborea. Questi faceva parte della famiglia di fatto sovrana della Sardegna occidentale, nota come Regno - o, appunto, Giudicato - di Arborea. A seguito di tali contrasti, avvenne l'occupazione da parte degli Arborensi della Zecca di Villa di Chiesa e ciò rese possibile l'effettiva attivazione della Zecca di Cagliari (1366).
A quest'ultima fu ordinato di coniare monete d'argento, ma, a causa della mancanza dello stesso, si dovette attendere il 15 ottobre 1392, allorquando, Giovanni I (1387-1396), ordinò la coniazione di mille marchi di "alfonsini minuti" (fig. 1) con i quali la Zecca, ubicata nei pressi della Torre di San Pancrazio, divenne finalmente operativa con il maestro di zecca Michele Roure. Durante il periodo tra il 1408 e il 1409 Martino I ordinò altre monete di piccolo conto, dette "piccioli" (fig. 2), ma solo con Alfonso V (1416-1458) si iniziò ad avere una certa regolarità nella coniazione di monete dal 1428 con i "denari reali" (fig. 3), i "piccioli", i "reali in argento" e gli "alfonsini minuti".
Purtroppo, nel 1476, sotto Giovanni II (1458-1479), venne di nuovo a mancare l'argento a causa del tentativo di ribellione del Marchese di Oristano Leonardo Alagon che, arrivando con il suo esercito fin sotto le mura di Cagliari, tagliò i rifornimenti dalle miniere di Villa di Chiesa.
Da quel momento, sino alla sconfitta del Marchese e la conseguente riunificazione dell'Isola sotto il dominio aragonese-spagnolo, si batterono solo "reali minuti". Dopo la morte di Giovanni II, fu Ferdinando II (1479-1516) che, grazie a una favorevole situazione politica, ordinò la produzione dei "reali in argento"(fig. 4) con incisa nel rovescio la famosa dicitura "inimicos eius induam confusione" ("coprirò di vergogna i suoi nemici"), tratta dal salmo biblico 131 e attinente alla cacciata degli Ebrei dalla Sardegna.
Altrettanta attenzione merita il passaggio dal conio del "reale minuto" al più noto "cagliarese" con al rovescio la titolatura "Castricallar".
Il successore di Giovanni II, Carlo V (1516-1556), coniò finalmente nel 1545, lo "scudo d'oro" (fig. 5) titolato al rovescio con la scritta "civitas calaritana", pur continuando anche la produzione di "reali" e "cagliaresi".
Negli anni successivi Filippo II (1556-1598) ebbe il privilegio, pur non coniando monete d'oro, di emettere il maggior numero di tipologie monetarie. Prima con Giacomo Monello il Giovane come maestro di zecca, e poi con Francesco de Ravaneda, furono coniate varie tipologie da "dieci reali" (fig. 6) e sottomultipli da "cinque reali", "due reali e mezzo", "due reali" e "un reale", che si uniformarono alle emissioni monetarie spagnole, oltre a vari coni da "tre" e da "un cagliarese".
Questi ultimi però furono anche causa di destituzione del Ravaneda in quanto risultarono irregolari nel peso e nel metallo. Nel 1611 con Filippo III (1598-1621) arrivò un nuovo nominale minuto da "sei cagliaresi" detto "soldo", mentre, per quanto riguarda la monetazione in argento, risultano solo monete da "cinque reali" ribattute su vecchie monete spagnole da "quattro reales" (fig. 7).
Svalutando così la moneta sarda e imponendo il corso forzoso, si evitò che la popolazione e i mercanti si rifiutassero di usarla. Questo fatto portò a una crisi economica che divenne gravissima sotto Filippo IV (1621-1665), il quale cercò di rimediare riutilizzando nominali in argento provenienti dalle officine spagnole dell'America centrale per riconiare le monete sarde. In questo modo però si arrivò solo a un aggravarsi della situazione in quanto la moneta sarda risultava ulteriormente svalutata per via del basso peso e della scarsa qualità del conio, tanto che più nessuno voleva accettarla.
Si pensò allora di dare alle monete potere d'acquisto in base al peso e non in base al valore nominale, eliminando così anche la comune usanza della "tosatura", grazie alla quale, con una piccola grattatina alla moneta si recuperava un po' di polvere di metallo prezioso. Purtroppo, la Zecca continuò a coniare monete di basso peso e di forma rozza, i cosiddetti "maltagliati" (fig. 8), e nel 1650 fu data in appalto a tal Lorenzo Mallone che vantava un credito di quattromila reali dal re di Spagna. Con Carlo II (1665-1700), la moneta sarda, grazie a una buona riforma, riprese vigore.
Furono infatti ritirate le monete di basso peso e si utilizzarono nuovi sistemi di coniatura che resero le monete più uniformi e regolari, come le splendide nuove serie da "dieci reali" (fig. 9), "cinque reali", "due reali e mezzo", "un reale" in argento, tre "cagliaresi" e "un cagliarese".
Filippo V (1700-1719) fece coniare anche "uno scudo" d'oro (fig. 10) per favorire le trattazioni commerciali, tradizione seguita sino al 1717 con Carlo III d'Austria Re di Spagna (1708-1711), poi VI come Imperatore (1712-1717).
Con i Savoia, nel 1720, l'officina, per ordine di Vittorio Amedeo II (1718-1730), perse il privilegio di Zecca del Regno di Sardegna e le monete vennero fatte coniare tutte a Torino sino al 1793, quando si riaprirà sotto la guida del maestro Nicolò Guiso, ordinando la coniazione di reali in mistura di bassa lega e di conio rozzo per la necessità di integrare le emissioni gia esistenti (fig. 11).
L'ultima tipologia di moneta coniata a Cagliari fu quella da "tre cagliaresi" (fig. 12), che debuttò nel 1813. Con questa emissione, dopo quattrocento anni di alterne fortune, chiuse la Zecca del Regno di Sardegna.
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