EXCALIBUR 67 - dicembre 2011
in questo numero

Nucleare, Iran, Israele e resto del mondo

L'ipocrisia permanente dell'Onu, che si troverà a dover decidere, suo malgrado

di Angelo Marongiu
Sopra: la minaccia nucleare iraniana si poteva fermare?
Sotto: l'opzione militare - israeliana naturalmente - sembrerebbe l'ultima possibilità
Due personaggi avrebbero meritato di essere osservati con maggior attenzione, all'inizio dello scorso mese di novembre: sono il Giapponese Yukiya Amano e l'Egiziano Mohammed el Baradei; entrambi - prima el Baradei e quindi Amano - hanno ricoperto la carica di Direttore generale dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Iaea).
Tra i due, certamente el Baradei è il più famoso: per la sua presenza e partecipazione alla cosiddetta "primavera araba" nelle piazze del Cairo, ove appariva come elemento moderato e pacificatore, anche se ora le sue quotazioni come futuro presidente salgono e scendono in funzione delle violenze riprese nella famosa Piazza Tahir. Ma el Baradei è famoso soprattutto perché, come capo dell'Iaea, nel 2005 gli fu assegnato il premio Nobel per la Pace «per il suo sforzo nel prevenire l'uso dell'energia nucleare per scopi bellici».
Va bene che ormai il Nobel per la Pace non si nega a nessuno - dopo averlo assegnato ad Al Gore e a Barak Hussein Obama, ora possono darlo anche ad Assad di Siria - ma appare alquanto strano se pensiamo che in quegli anni le uniche due nazioni con acute velleità atomiche erano la Corea del Nord e l'Iran (nazioni che l'Agenzia aveva lo scopo di monitorare) e che ancora oggi le due stesse nazioni continuano a fare ciò che vogliono - in dispregio e a sberleffo di tutta la comunità internazionale: mi chiedo sommessamente quale "sforzo per prevenire l'uso dell'energia nucleare per scopi bellici" sia mai stato fatto.
La Corea del Nord continua nella sua politica, ora respingendo qualunque colloquio e trattativa e negando continuamente ogni ispezione, ora accettando colloqui con tre, quattro o cinque interlocutori; l'Iran respinge e nega riunioni con l'Agenzia, apre i suoi siti alle ispezioni, ma non tutti, e chiude l'accesso a luoghi e informazioni strategiche e, nel frattempo, continua imperterrita a operare secondo i suoi piani di sviluppo. Ma, naturalmente, l'Iran continua a sostenere che le ricerche sul nucleare sono indirizzate a un uso pacifico dell'energia atomica. Guai a dubitarne.
Ora - siamo nell'attualità - il rapporto dell'Agenzia presieduta da Amano, pubblicato l'8 novembre scorso, afferma che l'Iran ha messo in atto in questi anni attività da ritenersi rilevanti e fondamentali per la costruzione di un ordigno nucleare: procurare con successo materiale nucleare o "dual use"; sperimentare l'uso di un detonatore ad alta precisione, sviluppare "capsule" in cui inserire materiale nucleare che, messe nel cuore di una bomba, possono liberare i neutroni necessari a innescare una reazione a catena di fissione nucleare.
È il rapporto più duro e completo mai scritto dall'Agenzia sullo stato "pacifico" del programma nucleare iraniano.
Considerando inoltre che l'Iran dispone dei missili Shahab 3, in grado di raggiungere Israele in circa 12 minuti, e che questi sono stati modificati per integrare il disegno sferico dell'atomica (resa più piccola) nella camera (resa più grande) del missile che ha un diametro di 120 cm e che essa può esplodere sia in aria che su un obiettivo specifico, si può ormai affermare che, dal punto di vista delle conoscenze complete, l'Iran abbia pienamente raggiunto il suo scopo.
Ma questi sono sviluppi recenti? Certamente no.
È stato dimostrato che el Baradei, negli ultimi anni della sua permanenza al vertice dell'Agenzia, ha costantemente "filtrato" i rapporti che gli pervenivano dagli osservatori, edulcorandone le conclusioni e costringendo così il mondo ad affrontare un incubo che si poteva evitare se l'Iaea avesse documentato per tempo - e aveva tutte le conoscenza per farlo - che l'Iran era indirizzato su una strada pericolosa ormai giunta al suo traguardo.
Obiettivo raggiunto, nonostante siano state messe in campo strategie non proprio ortodosse: diffusione del virus informatico Stuxnet anche nei computer iraniani delle centrali atomiche o uccisione mirata di alcuni scienziati che si occupavano di nucleare. Naturalmente la responsabilità - come sempre in questi casi - è stata attribuita ad agenti legati a Israele oppure all'opposizione interna iraniana.
Nulla è servito a fermare (forse solo a rallentare) il percorso iraniano verso l'atomica, figuriamoci un inasprimento delle sanzioni - blocco totale delle esportazioni o chiusura dei rapporti con la banca centrale iraniana - che tra l'altro vedono Russia e Cina pronte a schierarsi contro il resto del Consiglio di sicurezza dell'Onu.
E allora che fare?
L'Europa, come sempre, non ha nessuna strategia comune, e può presentarsi, come sempre, decisamente divisa di fronte a qualunque decisione presa da altri; sicuramente non è in grado di proporne alcuna.
Obama ha finora sbagliato tutto: la sua politica della "mano tesa" a Teheran (vedi il discorso tenuto al Cairo il 6 giugno 2009 e i patetici auguri per il nuovo anno iraniano) ha rimediato solo fiaschi colossali. È impensabile che - premio Nobel per la pace - passi dal dialogo con tutti alla soluzione militare o - come George Bush - possa formare una "coalition of willing" con altri partner (ma quali? Forse solo la Gran Bretagna).
L'atomica iraniana non è un pericolo solo per Israele - che Ahmadinejad ha minacciato più volte di voler distruggere - ma lo è anche per l'Arabia Saudita e per gli Emirati del Golfo, avversari mortali degli sciiti khomeinismi.
Quindi cosa faranno tutti questi eminenti strateghi?
Niente. Quando le sanzioni - sempre che siano prese - falliranno (la Cina, in barba a tutti, è pronta a comprare tutto il petrolio iraniano, affamata come è di energia) e non sapranno più cosa fare, si volteranno verso Israele e aspetteranno che ancora una volta possa risolvere per loro questo problema, così come fece nel 1981 quando eliminò la minaccia nucleare di Saddam Hussein. E se mai Israele dovesse davvero farlo, tutta l'opinione pubblica mondiale comincerà a criticare ferocemente l'operazione in tutte le assemblee, rallegrandosene beatamente in privato e tirando un immenso sospiro di sollievo.
Ma dall'Iraq di Hussein all'Iran di Ahmadinejad sono passati trent'anni, e Israele - sempre più sola e circondata da nemici - è divisa al suo interno in più correnti di pensiero.
Una prima corrente sostiene l'efficacia delle sanzioni e quindi è contraria a ogni intervento di altro tipo.
Un'altra corrente di pensiero invita all'attesa, sostenendo che ci vorranno ancora due anni perché l'atomica iraniana sia pronta per un uso militare, e che in due anni il regime può anche crollare minato al suo interno.
Un terzo gruppo - che include la maggior parte dei comandanti militari e dei responsabili della sicurezza - è decisamente contrario a un'azione preventiva, paventandone gli enormi rischi e la non decisiva efficacia contro i siti protetti e distribuiti sul territorio iraniano; essi contano, tra l'altro, sulla ben nota possibilità di rappresaglia in mano israeliana, in grado di colpire le installazioni petrolifere iraniane e mettere il paese in ginocchio. Le recenti esercitazioni a Decimomannu e nell'isola di Creta hanno consentito di verificare la possibilità di azioni di questo tipo.
L'ultimo gruppo - Netanyahu e Barak (Ehud non Obama) fra i primi - è per l'opzione militare subito, al massimo entro la primavera del 2012.
Spero che non ci sia alcuna azione militare, non foss'altro perché sarebbe ora che la comunità internazionale si svegli dal suo letargo e che smetta di dedicare il suo tempo a prendere decisioni simboliche o a trastullarsi in sessioni pletoriche (Unesco o Conferenza sul razzismo, in cui l'unico imputato è, come sempre, Israele).
Si decida quindi a perseguire quelli che sono i fondamentali fini della costituzione delle Nazioni Unite, operare per il raggiungimento della pace. Con tutti i mezzi.
Si avvicina Natale e tutti confidiamo che il bene, alla fine, trionfi. Ma non tutti credono a Babbo Natale.
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