EXCALIBUR 92 - giugno 2016
in questo numero

Debito, flessibilità, Pil e altre amenità

Balli e canti sulla nave Italia

di Angelo Marongiu
Sopra: il debito pubblico e gli interessi sul debito gravano su qualunque ripresa di sviluppo
Sotto: l'impennata del debito pubblico negli anni 80 e 90 è un errore che paghiamo ancora oggi
Duemiladuecentoventinove miliardi di euro (un po' meno): è questo il nuovo record del nostro debito pubblico, raggiunto lo scorso mese di marzo. Lo annuncia Bankitalia, ma il consigliere economico del governo, Marco Fortis, poche ore prima aveva (forse trionfalmente) affermato che il debito era sotto controllo.
È una cifra che solo a leggerla (2.228,7 miliardi di euro) dà il capogiro. Però tranquilli, è sotto controllo.
Rispetto allo scorso anno è aumentato di 14 miliardi, quindi non si capisce cosa il consigliere Fortis intendesse per "crescita controllata".
Nel contempo si afferma che dovremmo abbandonare ogni politica di rigore e adottare una vera politica di ripresa finanziata ovviamente dalla spesa pubblica, quindi con un aumento del debito pubblico.
Sono affermazioni folli.
Renzi aveva promesso (una delle sue tante promesse) che l'aumento della spesa pubblica destinato agli investimenti si sarebbe ottenuto con una revisione della spesa pubblica ("spendig review" per fare gli snob), ma nel frattempo gli esperti incaricati di studiare e predisporre i tagli alla spesa pubblica (Piero Giarda, Enrico Bondi, Carlo Cottarelli e Roberto Perotti) sono stati gentilmente messi alla porta.
Invece di comprendere che questo debito è un immane fardello ormai insostenibile e che bisogna avere il coraggio di osare (non solo a parole) e rischiare anche l'impopolarità, si continua a spremere il paese in ogni dove: "lacrime e sangue", a partire da Monti e dalla sua scellerata demolizione del comparto edilizio con la tassazione abnorme sulla casa. La semplice equazione che il debito aumenta quando spendo più di quanto introito dalle imposte è stata semplicemente ignorata.
L'aumento delle imposte entrate nelle case dello Stato sono state bilanciate da un aumento ancora maggiore delle uscite: e il debito continua a salire. I salassi continui delle tasche dei cittadini servivano a ridurre questo mostro di debito, invece la spirale al rialzo è continuata con Monti, Letta e ora Renzi.
Negli ultimi 20 anni abbiamo pagato 1.650 miliardi di euro di soli interessi sul debito (un punto di Pil, il 6% annuo del Pil) e questo continuando a tassare sempre di più imprese e famiglie per far fronte a questi oneri legati per altro a spese già sostenute.
Quindi si tolgono gli euro dalle tasche dei cittadini per buttarli in questa voragine improduttiva. Considerando poi che un euro di spesa pubblica rende molto meno di un euro di spesa privata (fenomeno legato alla velocità di circolazione della moneta e ad altri fattori), questa scelta - certo la più facile e comoda per chi cerca il consenso elettorale con le mancette da 80 euro per i pubblici dipendenti e di 500 euro da spendere per la "cultura" per i diciottenni (prossimi votanti!) - è semplicemente scellerata.
Il nostro attuale debito pubblico, ormai vicino al 140% del Pil, non è molto lontano da quello della Grecia, quando è stata commissariata dalla Troika, infilandosi in una crisi nella quale ancora si dibatte.
E il governo che cosa fa?
Ora festeggia come un successo l'allentamento dei "vincoli di flessibilità" da parte dell'Unione Europea: 14 miliardi in più di che cosa? Di debito pubblico. Festeggiamo la possibilità di migliorare ancora il record di debito.
In pratica l'Unione Europea non ci dà 14 miliardi di euro, ma ci dice semplicemente che possiamo spendere ancora 14 miliardi di euro che non abbiamo. Cosa c'è da festeggiare?
E poi non ce li dà mica gratis: anche questo tipo di generosità ha un costo. Intanto a ottobre ci sarà una verifica più stringente sui conti e un severo controllo del Piano di Stabilità, il rispetto assoluto dei obiettivi di finanza pubblica per il 2017, un aggiustamento del bilancio in termini strutturali di almeno l'0,8 del Pil (circa 10 miliardi di euro) e poi la ciliegina sulla torta: l'Italia deve "spostare il carico fiscale dai fattori produttivi ai consumi e alle proprietà". In parole povere, aumento dell'Iva e una patrimoniale.
E cosa ne farà il buon Renzi di questo gruzzoletto? Altre mance elettorali (magari solo promesse), visto che siamo vicini alle elezioni amministrative in tante importanti città? Oppure lo conserverà per spenderli in vista del ben più importante referendum sulle riforme costituzionali del prossimo ottobre?
Avrà sussulti keynesiani e vorrà farli spendere nel pubblico o deciderà di metterli nelle tasche delle imprese e delle famiglie? Nei testi di macroeconomia elementare si studia che lasciarli alle imprese significa maggior competitività sul mercato e quindi maggior produzione e sviluppo e lasciarli nelle tasche delle famiglie significa maggiori consumi, quindi maggior produzione e sviluppo. Quindi aumento del Pil (che fra l'altro migliorerebbe il rapporto debito/Pil che tanto ci angustia).
E consentirebbe un incremento del Pil ben maggiore dell'asfittico 1,1% del quale ancora una volta vanno fieri. Nascondendo che la sola politica di quantitative easing fortemente voluta da Draghi e il basso prezzo del petrolio valgono da soli circa l'1% del Pil; quindi la nostra economia - amara realtà - è quasi ferma.
Ma la scelta di lasciarli alle imprese e alle famiglie è un discorso troppo intelligente ed è una scelta i cui frutti non sono immediati, mentre il nostro Presidente ha bisogno di visibilità "immediata": opterà quindi per una strada più comoda e più redditizia in termini di tornaconto di voti. È questa la differenza tra un politico qualunque e uno statista. Una semplice differenza di orizzonte.
L'Istat intanto scrive che «in Italia tornano crescita e investimenti, ma resta l'allarme povertà» (l'11,5% delle famiglie italiane è sotto la soglia di povertà). E anche «mercato del lavoro incerto, inflazione molto debole, spesa sociale inefficiente, peggio solo la Grecia».
La montagna del debito pubblico (mostro cresciuto enormemente negli anni '80-'90) va abbattuto non solo per motivi economici (ridurremmo appunto anche gli oneri conseguenti), ma soprattutto per motivi morali, se vogliamo che i nostri figli abbiano un futuro.
Non è proprio il caso di ballare sul Titanic.
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