EXCALIBUR 110 - novembre 2019
in questo numero

Cambiamento climatico globale

Tra contrasto e strategie di adattamento

di Franco Di Giovanni
Fossili guida del Tirreniano di Cagliari: (a) Strombus bubbonius (gasteropode), (b) Patella ferruginea (gasteropode), (c) Cladocora coespitosa (corallo), (d) Conus testudinarius (gasteropode)
Tanto si legge e si parla nei media di "Global climatic change" non sempre con cognizione di causa, grandi iniziative politiche portano periodicamente i potenti del pianeta al capezzale di una Terra che mostra sempre di più le evidenze di un riscaldamento generalizzato, fronti glaciali che arretrano sia ai poli che sulle catene montuose, livello marino in innalzamento, aree desertiche che si espandono, eventi meteorologici estremi sempre più intensi e concentrati sia nello spazio che nel tempo.
Diverse fonti, sia scientifiche che mediatiche affermano che il riscaldamento climatico globale è dovuto all'incremento dei gas serra, in particolare della CO2 (anidride carbonica) legata alle produzioni antropiche; ma il gas serra maggiormente presente nell'atmosfera terrestre non è la CO2 (circa 5-10%), ma il vapore acqueo H2O (circa il 70%) in buona parte prodotto per evaporazione delle acque oceaniche, quindi in relazione diretta con l'aumento delle temperature.
D'altra parte i ricercatori hanno rilevato un aumento delle temperature medie globali dall'inizio dell'800 (rel. Ipcc 2010), quando a partire dalla Rivoluzione industriale l'incremento del consumo dei combustibili fossili, carbone in particolare, ha portato al rilascio in atmosfera di quantità sempre crescenti di CO2.
L'anidride carbonica è rilasciata in atmosfera anche per cause naturali, prodotta dalle emissioni vulcaniche sia subaeree che sottomarine, dalle grandi foreste e dagli oceani secondo un delicato bilanciamento con le temperature (periodi freddi bassi livelli di CO2 in atmosfera, periodi caldi elevata concentrazione di CO2), equilibrio che oggi le emissioni antropogeniche stanno ponendo in crisi portando i tassi di anidride a livelli mai prima raggiunti.
Proviamo però a guardare indietro nella storia del nostro pianeta: attraverso lo studio delle rocce sedimentarie è possibile riconoscere in ogni Era geologica cambiamenti climatici come quelli che stiamo vivendo a partire dal Precambriano (circa 4 miliardi di anni fa), periodi freddi (glaciali) e periodi caldi (interglaciali) che si ripetono con la medesima cadenza secondo caratteristici cicli temporali.
Fu un fisico-matematico serbo Milutin Milankovic nel 1913 che scopri la corrispondenza tra questi cicli climatici e particolari asimmetrie nei movimenti del pianeta Terra, in particolare riconobbe i cambiamenti climatici a lungo termine (ogni 100.000 anni), quelli più intensi legati alla eccentricità dell'orbita terrestre intorno al Sole, mentre mutamenti climatici minori sono dovuti alle variazioni di inclinazione dell'asse terrestre (ogni 40.000 anni) e ai moti di precessione della Terra (ogni 20.000 anni).
Sulla base del corteo di tutte le evidenze scientifiche disponibili (Ipcc) è confermata l'ipotesi che si stia andando incontro a un periodo interglaciale, quelli più caldi (tempi di ritorno 100.000 anni).
Siamo sicuri che l'Uomo, seppur così efficiente nelle sue politiche autodistruttive che hanno portato al degrado dei grandi polmoni verdi delle foreste equatoriali e al depauperamento delle risorse ittiche di mari e oceani, sia in grado con le proprie emissioni di interferire con i processi astronomici che stanno alla base dei cambiamenti climatici?
La comunità scientifica non è affatto concorde su questo punto, mentre va in scena l'isteria mediatica generale che vuole il cambiamento climatico totalmente causato dalle emissioni antropiche di anidride carbonica; sarebbe quindi sufficiente eliminarne le emissioni per arrestare il riscaldamento del clima terrestre, espressioni entrambe di un delirio di onnipotenza caratteristico del genere umano.
Le emissioni antropogeniche di CO2 comunque contribuiscono a incrementare la tendenza naturale al riscaldamento globale e vanno ridotte, ma sono anche associate a immissioni di sostanze, polveri, gas che rendono sempre meno respirabile l'aria delle nostre città, sostanze che incrementano l'incidenza delle neoplasie, materie che degradano gli ecosistemi marini e terresti rendendo questo nostro pianeta sempre meno ospitale. Anche per questo motivo è urgente limitarle.
Cosa ci attende per il futuro? Una fase climatica decisamente calda il cui massimo potrebbe essere raggiunto in tempi geologicamente brevissimi (500, 1.000 anni?), condizioni climatiche simili all'ultimo periodo Interglaciale (Tirreniano - circa 120.000 anni fa) che è stato studiato a livello globale proprio a Cagliari, nei sedimenti e nei fossili della sezione tipo di Cala Mosca; un periodo in cui il clima era nettamente subtropicale, le temperature medie simili a quelle del Senegal o del Mar Rosso e il livello del mare risaliva di circa 7 metri rispetto all'attuale, formando due grandi baie con barriere coralline fino a Elmas e Pirri separate dal promontorio di Monte Urpino e dall'Isola della Sella del Diavolo.
Grandi processi naturali controllati da fattori astronomici che, come ci ha ricordato il premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia, non possono essere arrestati dall'Uomo, ma che ci impongono di agire nell'ottica di una mitigazione di fenomeni sempre più distruttivi e di pensare alla elaborazione di nuovi modelli di organizzazione dello spazio secondo strategie di adattamento al Cambiamento climatico globale.
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