EXCALIBUR 140 - maggio 2022
in questo numero

Sardi a Salò: Giovanna Deiana, l'ausiliaria non vedente

Un esempio di coerenza e coraggio

di Angelo Abis
<b>Giovanna Deiana</b>
Sopra: Giovanna Deiana
Sotto: Piera Gatteschi, comandante del Saf, con
il grado di Generale di Brigata
<b>Piera Gatteschi</b>, comandante del Saf, con il grado di Generale di Brigata
Giovanna Deiana era nata a Roma nel 1926 da genitori sardi. Infatti il padre Antonio e la madre Maddalena erano originari di Pattada (SS). Nell'agosto del 1940 il padre, che era impiegato alla questura, fu trasferito a Verona con tutta la famiglia di ben 7 figli. A Verona Giovanna si iscrisse all'istituto magistrale "Montanari". La domenica del 20 ottobre del 1940, nel primo pomeriggio aveva partecipato a una adunata del partito in Piazza dei Signori, oratore il federale Bonamici.
La notte dello stesso giorno avvenne la tragedia. Così la raccontò Deiana: «Sono cieca dal 21 ottobre del 1940 a causa di un bombardamento [...]. Il nemico arrivò di notte [...]. La casa fu colpita. Si sollevò una vampata di calore e io mi lanciai sui miei fratelli. Salvai il mio Aldo e la mia Piera e feci scudo con il mio corpo. Le schegge mi colpirono gli occhi e tutto divenne nero [...]. Mi fu data la medaglia d'argento al valor civile [...]. Achille Beltrame disegnò il momento più drammatico della mia storia sulla copertina de "La Domenica del Corriere" [...]. Qualche tempo dopo il partito mi offrì un soggiorno a Roma nel collegio Littorio, alla Camilluccia». E lì incontrò Mussolini. «L'incontro con Mussolini durò dieci minuti. Gli porsi un mazzo di fiori e lui ebbe parole dolcissime per me: "Coraggio bambina", mormorò. Mi baciò proprio sulla guancia destra. Mi fece tante domande: che cosa facevo? Avevo ripreso i miei studi alle Magistrali? Soffrivo? "Vedrai con gli occhi dello spirito", mi rassicurò.».
Deiana, pur ancora adolescente e non vedente, visse drammaticamente le giornate del 25 luglio e dell'8 settembre del '43, scontrandosi in maniera molto dura anche con i genitori: «L'8 settembre mi ero subito schierata con lui. Mi era sembrato cosa vile l'armistizio. Avevo bollato definitivamente i Savoia [...]. Io, Giovanna, figlia di gente sarda che aveva avuto sempre il culto della monarchia. Il 25 luglio, all'arresto di Mussolini, mamma e io avevamo litigato con parole dure».
Ma a Giovanna non è sufficiente schierarsi con la R.S.I. e con Mussolini. Appena diciottenne e pure cieca, vuole essere parte attiva in quest'ultima e drammatica avventura del fascismo. Ascoltata una trasmissione radiofonica dell'Eiar annunciante che le donne potevano fare qualcosa di più che visitare le caserme o assistere i soldati feriti, scrisse una lettera alla "Voce del partito" affermando che voleva contribuire all'impegno del partito malgrado la sua cecità. Arrivò una risposta da parte del Comando generale dell'opera Balilla. L'offerta era molto apprezzata, ma poteva dare la collaborazione solo scrivendo per il giornale dei giovani fascisti. La delusione fu enorme: «Eh no! Mi sentii umiliata. Mi sentii dimenticata anche da Mussolini. Cieca e inutile per il nuovo fascismo che si batteva disperatamente. Inutile per il Duce!».
Ma Giovanna non si rassegna. Un giorno incontra a Verona il presidente dell'associazione nazionale mutilati di guerra, il cieco Carlo Borsani. Gli confessa di soffrire per non poter dare di più alla Patria. Borsani gli suggerì di andare a parlare personalmente con Mussolini.
Il 30 settembre del '44, con una automobile messa a disposizione dal federale di Verona e accompagnata da una dirigente del partito, si reca da Mussolini. Ed ecco la descrizione dell'incontro: «Mussolini ci aspettava davanti alla sua scrivania e, appena entrate [...]. Scusate, scusate se vi ho fatto aspettare ripeteva [..]. Ricordo le sue mani che stringevano le mie per tutta la durata dell'incontro [..]. Chiese: "Che cosa posso fare per te?". Mi dava del tu. "Duce, io voglio fare l'ausiliaria come desiderano tutte le ragazze d'Italia". "Tutte? Ma tu sei cieca Deiana". "Quando alla Patria si è dato tutto, non si è dato troppo". Disse: "Bene, bene, parlerò domani al generale Nicchiarelli [...], vedremo come si può risolvere il tuo caso"».
Dopo qualche mese la comandante provinciale di Verona, Elena Renzi, le comunicò che a fine gennaio sarebbe dovuta partire per Como, sede del Comando generale del Servizio Ausiliario Femminile (Saf).
Deiana si presentò alla comandante del Saf, Generale Piera Gatteschi, che così descrisse l'incontro: «Giovanna, una ragazza di 22anni (in realtà ne aveva 18, n.d.r.,), rimasta cieca in un bombardamento [...]. Si era fatta accompagnare dalla sorella più piccola. "Come faccio a prenderti? Sei cieca!". "Vi supplico! Non costringetemi a tornare indietro. Non distruggete la mia speranza". Non voleva arrendersi alla sua disgrazia, voleva sentirsi viva, utile».
Il risultato fu che Deiana fu accolta. Frequentò il corso "Fiamma" del Saf, conseguì poi l'attestato di marconista, specializzandosi in aerofonia, utile per captare in anticipo il rumore delle formazioni aeree nemiche in arrivo. Fu poi assegnata a una batteria contraerea della Guardia Nazionale Repubblicana (Gnr).
Il mattino del 23 aprile del 1945 la Comandante Generale Piera Gatteschi, a conoscenza della imminente disfatta della Rsi, ordinò a Deiana di andare a Lecco presso l'ospedale dell'Ordine di Malta. Rimase lì sino al 4 maggio, poi si rifugiò a Milano dalle suore Canossiane. Non poteva certo, malgrado la guerra fosse finita, ritornare a Verona, dove la sorella Piera, anche lei ausiliaria, era stata dileggiata e rapata a zero.
Il 30 luglio del '45 il fratello Aldo, appena quattordicenne, dopo essere stato massacrato di colpi fu scaraventato nel fiume Adige dai partigiani, reo di essere stato la mascotte della Brigata Nera locale.
Pur tuttavia Giovanna riuscì a superare i traumi della guerra e del primo dopoguerra. Riprese gli studi e si laureò. Insegnò per tanti anni materie letterarie. Si sposò due volte, ma non ebbe figli, considerò questa una disgrazia.
Sempre molto attiva e presente nell'associazione culturale che raggruppava le ausiliarie (Acsaf), ne fu anche presidente. Difese le idee e i valori in cui aveva fermamente creduto e tali valori voleva trasmettere alle giovani delle nuove generazioni.
Conservò sino alla fine una visione positiva della vita. Era solita dire: «La vita mi ha dato tanto amore».
Morì a Roma il 15 aprile del 2012.
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