EXCALIBUR 140 - maggio 2022
in questo numero

"Gesù e Giuda" di Amos Oz e altri

Occhi diversi sulla figura più controversa del Nuovo Testamento

di Angelo Marongiu
le copertine di 'Gesù e Giuda' e de 'Il Vangelo di Giuda'
Sopra: le copertine di "Gesù e Giuda" e de "Il Vangelo di Giuda"
Sotto: Marc Chagall, vetrata della tribù di Giuda (Ospedale
Hadassah, Gerusalemme) e classica rappresentazione dell'Ultima
Cena con Giuda in un angolo e senza aureola
Marc Chagall, vetrata della tribù di Giuda (Ospedale Hadassah, Gerusalemme)
classica rappresentazione dell'Ultima Cena con Giuda in un angolo e senza aureola
Quando nel dicembre 2018 è morto lo scrittore e saggista israeliano Amos Oz, chi ha letto e apprezzato le sue opere ha sentito un senso di solitudine più profonda.
Da allora, postumi, sono stati pubblicati alcuni suoi inediti, soprattutto giovanili, con alterno interesse letterario.
Ora è appena uscita una piccola opera del 2018 su un personaggio, Giuda, che già lo aveva precedentemente coinvolto: è un brevissimo testo, con prefazione di Erri De Luca, basato su un intervento di apertura a una conferenza tenuta a Berlino nel 2017.
Nella sua breve ma intensa prefazione Erri De Luca mette in evidenza come il nome proprio di Giuda sia diventato un sostantivo che definisce il traditore per eccellenza.
E il nome Giuda è stato assimilato facilmente a giudeo e quindi a ebreo, determinando i sentimenti di antisemitismo e l'assurda accusa cristiana di deicidio.
De Luca sottolinea la superficiale lettura che si fa della prima pagina del Vangelo di Matteo, la prima del Nuovo Testamento.
In essa Gesù è posto al termine di una discendenza ebraica che trae origine da Abramo: da lui discendono tutte le generazioni ebraiche. Abramo fu il padre di Isacco, Isacco di Giacobbe, Giacobbe fu il padre di Giuda e dei suoi fratelli. Il Vangelo di Matteo, nell'elencare la generazione di Gesù parte proprio da Giuda, capostipite di una delle dodici tribù di Israele.
E il termine "giudei" parte proprio da questo Giuda/Iehudà, quarto figlio di Giacobbe/Israele.
Il nome Iehudà gli fu dato dalla madre Leà sulla base del verbo "ringraziare": Giuda/Iehudà è voce della parola "Grazie".
Servirà a sgombrare l'alibi dell'ignoranza di chi non vuol sapere che gli Ebrei si chiamano anche Giudei da quel capostipite della genealogia di Gesù e non per via di Giuda Iscariota?
Oz ricorda il suo prozio Joseph Klausner, Ebreo russo di Odessa, che fu tra i fondatori dell'Università Ebraica di Gerusalemme.
Ispirato da questa figura controcorrente, autore di opere sul primo cristianesimo malviste «sia dagli Ebrei più rigorosi che dai cristiani più conservatori», Oz, caso rarissimo nel suo ambiente, legge i Vangeli ed è intrigato dalla figura di Gesù, che colloca tra gli Ebrei visionari come Spinoza e Heine nella tradizione ebraica fondata sul dibattito, sulla discussione, ma soprattutto sul dubbio.
Amos Oz si avvicina ai Vangeli pensando che non avrebbe potuto apprezzare altrimenti la maggior parte dell'arte europea o la musica di Bach o le opere di Dostoevskij.
Rimane affascinato dalla figura di Gesù: la sua visione, la sua poesia, la sua audacia e la sua ira.
Su certe questioni dissente profondamente e lo considera naturale poiché raramente due Ebrei sono d'accordo tra di loro.
In particolare trova assurda la visione di Gesù sull'amore universale, ritenendolo contrario alla natura umana. Per Oz l'amore è una cosa rara e amare tutti significa non amare nessuno.
L'altro punto di dissenso riguardava il suo invito a porgere l'altra guancia al proprio nemico: il male più grande non è la violenza in sé ma l'aggressività, che deve essere fermata con la forza, non porgendo l'altra guancia.
Sicuramente alla base di questo dissenso da queste visioni di Gesù c'è il suo essere Ebreo e Israeliano, perennemente in lotta e perennemente discriminato.
Ma è quando si imbatte nella figura di Giuda che Amos Oz si ribella: il suo tradimento e l'episodio del bacio lo fanno inorridire, non per motivi di sciovinismo ma semplicemente perché li trova assurdi.
Giuda non era un povero pescatore della Galilea come gli altri apostoli, ma un agiato proprietario terriero della Giudea. Avrebbe dovuto vendere il suo maestro, il suo rabbino, il suo Dio per una cifra, trenta denari, così miserabile?
Ma l'incongruenza maggiore è nel bacio che Giuda avrebbe dovuto dare a Gesù per permetterne l'identificazione: perché avrebbe dovuto farlo?
Tutta Gerusalemme conosceva Gesù, che predicava in ogni piazza e in ogni angolo di strada; quel Gesù che solo qualche giorno prima, accolto da una folla festosa, era entrato trionfante a Gerusalemme dalla Porta dei Leoni?
Un bacio per indicare un uomo conosciuto da tutti? Era assurdo, dice Oz quando aveva sedici anni, e ancora assurdo sessant'anni dopo.
«Il Giuda dei Vangeli è la velenosissima fonte dell'antico archetipo dell'Ebreo eternamente demonizzato e maledetto [...]. Nessun'altra storia ha mai generato tanto odio, tanta violenza, tanto spargimento di sangue, tante persecuzioni, tanti genocidi quanto l'odiosa storia di questo tradimento, dei trenta pezzi d'argento e del bacio».
E così Giuda, il cui nome ormai significa traditore nel profondo della psiche cristiana, è sempre il più ripugnante, disgustoso, avido, malvagio, disonesto uomo.
Dare del "giuda" a qualcuno è come sputargli in faccia.
E Oz ironizza sul nome Yehuda, il primo nome di suo padre e il secondo nome di suo figlio e quindi dice «si dà il caso che io sia figlio di Giuda e padre di Giuda».
Oz si volge ora al suo altro romanzo "Giuda" del 2014, nel quale lealtà e tradimento, fede e infedeltà sono i temi centrali.
Uno dei tre personaggi del suo romanzo "Giuda" è Shemuel Asch: costretto a interrompere gli studi universitari e la tesi di dottorato sul tema "Gesù visto dagli Ebrei", trova occupazione come uomo di compagnia di un anziano disabile ma di grande cultura, Geshom Wald, disilluso ma non cinico, amante della conversazione.
E nelle infinite parole scambiate in un freddo inverno con il suo assistito, Shemuel ha modo di approfondire l'idea che sta alla base della sua tesi: Giuda non avrebbe tradito Gesù ma sarebbe stato il più fedele dei suoi seguaci, al punto da spingerlo, contro la sua volontà, verso Gerusalemme e la crocifissione, affinché potesse manifestare a tutti che era il Figlio di Dio.
Il Giuda di Shemuel in realtà credeva in Gesù più di quanto Gesù credesse in sé stesso.
In questa visione Giuda Iscariota, scettico uomo di città, si accende di una ardente fede in Gesù, nella sua missione, in Gesù Redentore, Salvatore, Messia, Figlio di Dio.
E quando Giuda lo vede morire sulla croce senza che si verificasse l'Avvento tanto desiderato, si rende conto di aver ucciso il suo maestro, la persona che amava più di ogni altra sulla terra. Lo ha ucciso semplicemente chiedendogli troppo, desiderando una redenzione istantanea, la nascita di un immediato Regno dei Cieli.
Quindi cosa gli resta dopo la morte di Gesù se non andare a impiccarsi?
Questa è la teoria di Shemuel Asch, la sua verità alternativa e forse anche quella, suggestiva, di Amos Oz.
La lettura di queste due opere di Oz mi ha riportato alla mente altre opere che mi avevano particolarmente colpito per la loro visione non certo ortodossa sul personaggio decisamente controverso di Giuda Iscariota.
Giuseppe Berto pubblicò il suo "La Gloria" nel 1978, l'anno della sua morte, ed è forse il suo testamento letterario.
È una eccentrica rilettura dei Vangeli (lo aveva fatto anche ne "La passione secondo noi stessi") vista dallo sguardo di Giuda. Voleva intitolarlo "Io, Giuda", oppure "Gloria di Giuda", ma la casa editrice optò altrimenti.
Il libro è scritto sotto forma di monologo - Giuda parla da morto - e descrive i sentimenti e le angosce religiose dell'apostolo.
La figura di Giuda è delineata come un umile strumento della volontà di Dio affinché si realizzi la missione della salvezza dell'uomo. Gesù gli affida l'incarico di tesoriere, ma il suo vero e nascosto compito è quello di tradirlo quando sarà necessario. Giuda lo tradisce e la sua eterna dannazione diventa l'ultimo toccante "dovere d'amore" come stabilito dalle Scritture. Nel complesso intreccio della Redenzione c'era la necessità di due agnelli sacrificali: quello di Gesù e quello di Giuda Iscariota affinché si realizzasse la volontà di Dio. Giuda tradisce per sconfinata ubbidienza, perché sa che per la vittoria di Gesù è necessario un complice senza il quale nulla sarebbe potuto accadere.
L'interesse letterario intorno alla figura di Giuda è sempre stato altissimo e piuttosto che ricomporre la sua vicenda storica - anche perché i Vangeli sono parchi di notizie intorno alla sua persona - ciò che ha maggiormente intrigato è stata la domanda «per quale motivo Giuda tradì il suo Maestro? Uomo di grandi ideali e vittima necessaria?».
Ci ha provato anche Borges nella sua raccolta "Finzioni", nella sezione "Artifici": il brevissimo "Tre versioni di Giuda" occupa sei pagine.
L'opera tratta di un autore dotto e illuminato, Nils Runeberg, che naturalmente non esiste, il quale sostiene che nel dramma cristologico, al limite della provocazione, Giuda Iscariota non è meno necessario ed eletto di Gesù Cristo Redentore.
Scrive quindi due libri pretenziosi rifiutati da tutti i teologi, poiché Runeberg parte dal presupposto che ciò che la tradizione attribuisce a Giuda Iscariota è tutto falso e quindi anche il mistero della fede va riletto sotto una nuova luce. Se a Dio Padre serviva un uomo per portare a compimento il disegno divino, quel qualcuno che doveva degradarsi al punto da rappresentare l'infamia eterna era forse colpevole?
Borges definisce l'opera "una fantasia cristologica", visto anche il rapporto problematico tra Borges e la religione e il dilemma della Fede che attraversa le sue opere è visto con gli occhi disincantati di chi crede in Dio nonostante i teologi.
Nel gioco degli specchi tanto caro allo scrittore argentino si dipanano diversi livelli di significato, ognuno dei quali è verità e allo stesso tempo pura speculazione, ma alla base di tutto c'è il significato che la teologia e la filosofia, frutto delle elaborazioni della limitata mente umana, non possono penetrare i misteri di Dio.
Tantissimi altri scrittori si sono cimentati in una rivisitazione della figura di Giuda Iscariota, perché la sua storia inquieta per il dramma che evoca, per le sue contraddizioni che sembrano incentrarsi su un solo uomo: grazia e rifiuto, dannazione e salvezza, libero arbitrio e predestinazione.
Ma per quanto si tenti di decifrare questa figura e cercare di conoscerla, non si possono dare risposte definitive e la sua storia rimarrà sempre un mistero.
Tutti coloro che lo hanno reso protagonista (Berto, Papini, Crocetta e altri) hanno visto che Giuda è ciascuno di noi e in lui si riverbera l'uomo con una parte di bene e di male, nella inestricabile scelta tra libero arbitrio e predestinazione.
Chiudo questa complicata analisi di una figura che ha sempre mantenuto il suo fascino con una curiosità: nel 2006 National Geographic ha pubblicato un volume: "Il Vangelo di Giuda".
È un Vangelo del quale si era parlato fin dagli inizi del Cristianesimo, condannato come eretico dai primi capi della Chiesa, in particolare da Sant'Ireneo.
Celato in una caverna del Medio Egitto, il codice che lo contiene fu scoperto da alcuni contadini negli anni '70 del secolo scorso: acquistato e venduto da vari antiquari, passato attraverso diversi continenti, danneggiato e restaurato, fu finalmente ricomposto nel 2001 e tradotto dal copto in un linguaggio chiaro.
È un Vangelo narrato dal punto di vista di Giuda Iscariota e il Giuda che emerge da queste pagine costituisce un mutamento radicale in pieno contrasto con i Vangeli sinottici.
Giuda è un modello per tutti coloro che desiderano essere discepoli di Gesù: è l'unico apostolo che lo comprende veramente.
Nel brano "With God on our side", Bob Dylan canta di lui:

Per molte lunghe ore
Ho pensato a questo
Che Gesù Cristo
fu tradito da un bacio
ma non posso pensare per voi.
Voi dovete decidere
Se Giuda Iscariota
Avesse Dio al suo fianco.
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