EXCALIBUR 105 - dicembre 2018
in questo numero

Debito pubblico o debito "odioso"?

Come la finanza strangola un popolo

di Paola Musu
Sopra: il grande privilegio di "battere moneta", simbolo di sovranità
Sotto: Bce, organo di controllo delle banche nazionali
La moneta è il motore dell'economia: senza la moneta, geniale intuizione che ha permesso di uscire dall'economia del baratto, è quantomeno surrealistico anche solo ipotizzare politiche di crescita o di ripresa. Qualunque promessa elaborata a queste condizioni è una macroscopica falsità.
L'abnorme paradosso è dato dal fatto che proprio l'Europa, che ha dato i natali all'elaborazione filosofica, politica e giuridica più alta del concetto di "Stato", abbia potuto accettare che una delle principali prerogative del potere sovrano dello Stato stesso, quello di "battere moneta", potesse essere trasferito a entità esterne agli Stati, che nulla hanno a che fare con esso, alle quali è stata attribuita la più totale indipendenza e immunità, specie giuridica, sino ad arrivare addirittura all'inviolabilità e inaccessibilità dei relativi locali e documenti (vedi, in particolare, Esm, Bce), ma con poteri di decisione sulla vita degli Stati stessi.
Rivolgendo lo sguardo al passato, non può non saltare agli occhi, con prepotenza, la "strana" successione/concomitanza di eventi che hanno caratterizzato la vita dell'Italia in determinati momenti di "snodo" della storia della Repubblica, (coincidenze?): nel 1979 avviene la sostanziale "eliminazione" di Baffi e Sarcinelli, con la loro "squadra", dalla governance della Banca d'Italia (le relative inchieste finiranno poi archiviate).
«A seguito di quella iniziativa, l'istituto di emissione, scrive Massimo Riva in un articolo esclusivo pubblicato su Panorama dell'11 febbraio 1990 dal titolo "Il governatore deve cadere", «si trovò di fatto decapitato».
Nel luglio 1981, a cambio di guardia in Banca d'Italia oramai perfezionatosi, viene inaugurato, dall'allora Ministro delle Finanze Nino Andreatta, il "nuovo regime di politica monetaria", con l'attuazione del cosiddetto "divorzio fra Tesoro e Banca d'Italia", in obbedienza alla politica dell'Europa. Da quel momento la B.d.I. non acquistò più i titoli non collocati presso gli investitori privati. Tale sistema, sino a quel momento, aveva garantito il finanziamento della spesa pubblica e la creazione di base monetaria, nonché la crescita dell'economia reale.
Si osservi: fino al 1981, contrariamente al luogo comune che la vorrebbe spendacciona e poco virtuosa, l'Italia aveva la quota di spesa pubblica in rapporto al Pil più bassa tra gli stati europei: 41,1% contro il 41,2% della Repubblica Federale Tedesca, 42,2% del Regno Unito, 43,1% della Francia, 48,1% del Belgio e 54,6% dei Paesi Bassi. Il rapporto debito/Pil era nel 1980 al 56,86% (strano, siamo ampiamente al di sotto del limite del 60% imposto da Maastricht!!).
Ebbene, negli anni ottanta, quale effetto della nuova politica monetaria inaugurata, coadiuvata dagli ulteriori effetti aggravanti indotti dal sistema di cambi fissi imposto dallo Sme (inizialmente solo parzialmente attenuati dalla concessione di una banda di oscillazione del 6%, poi al 2,5% dal 1990), si assiste a una esplosione della spesa per interessi passivi, la quale portò in pochi anni il rapporto debito/Pil dal 56,86% del 1980 al 94,65% del 1990, fino al 105,20 del 1992: questa lievitazione della spesa per interessi passivi è ancora oggi la fondamentale, se non l'esclusiva, componente dell'incremento del debito. Contemporaneamente, sempre negli anni ottanta, mentre in questo modo gli stati europei venivano letteralmente "gonfiati" nelle loro condizioni debitorie, si compivano passi da gigante verso la fase decisiva, quella della cessione, da parte degli stati, del potere di emissione monetaria, attraverso la trappola dell'unificazione monetaria ("datemi la moneta e non mi importa di chi fa le leggi").
La sintesi estrema di questo processo potrebbe essere la seguente. Uno Stato, indebitato artificialmente dalla finanza, al quale sono stati sostanzialmente sottratti ampi margini di manovra monetaria, impedendo alla sua banca centrale di intervenire sui mercati e costringendolo a operare in un sistema di cambi fissi (si ricordi l'ingresso nello Sme e il citato "divorzio" Tesoro-Banca d'Italia), con il colpo di grazia di un attacco speculativo da "tempesta perfetta" (1992, attacco speculativo alla lira), viene avviato alla fase finale, ossia la rinuncia agli utili da emissione monetaria (rinuncia alla propria moneta), con tanto di corollario dello smembramento e polverizzazione del proprio patrimonio (privatizzazioni e cessioni "omaggio" del proprio patrimonio industriale e immobiliare, dopo aver prosciugato quello finanziario, con perdita, oltre che delle fonti di approvvigionamento monetario, anche delle migliori "garanzie" di credito).
Contemporaneamente, cede fette importanti di sovranità in ossequio a un processo di "decostituzionalizzazione", "decostruzione progressiva dello Stato" e di "reingegnerizzazione del potere".
Considerato che con l'introduzione dell'euro l'emissione monetaria è divenuta un prestito fatto dall'ente di emissione (Bce) agli Stati che lo hanno adottato, da restituirsi con corredo di interessi che non potranno essere mai corrisposti, per il semplice motivo che esulano dall'effettiva base monetaria esistente, il debito che viene a formarsi è per definizione non restituibile e, come tale, artificiosamente e consapevolmente alimentato da chi lo detiene (creditore).
Lo Stato viene così consegnato nelle mani degli operatori finanziari (quelli che la Cannata nella sua audizione alla Camera del 10 febbraio 2015 chiama gli "Specialisti"), pagando loro sia la liquidità che questi gli prestano, attraverso l'acquisto di Btp, sia il loro impegno ad acquistare gli stessi a un dato tasso, per un dato periodo, e varianti sul tema (derivati), spesso, magari, con un doppio livello di tassi di interesse da onorare: uno sull'emissione dei Btp e l'altro sui derivati. Quando poi non si incappa in veri e propri "castelli" di ingegneria finanziaria, con i loro connessi ulteriori lacci debitori, che possano stringersi nei passaggi di livello collegati a eventuali cartolarizzazioni di questi prodotti, dipendenti dal mero arbitrio dell'emittente.
Stando alle stime emerse sulla stampa nel 2015, sembrerebbe che il buco sui derivati sottoscritti dal Tesoro italiano ammonterebbe, almeno a quella data, a circa 42 miliardi. Su alcuni articoli di stampa, sempre del 2015, sembra che l'attuale primo dirigente della Direzione del Tesoro deputata al controllo del debito, oltre che dimostrare una certa oscillazione nei numeri, foriera di inevitabili interrogativi, riferisca, a un certo punto, che negli ultimi quattro anni (sempre con riferimento al 2015) la perdita sui contratti in derivati si sarebbe attestata a circa 12,4 miliardi. Non specifica se si tratti di un importo complessivo del quadriennio o di una media, ma il sospetto in favore di quest'ultima opzione è forte, perché se si moltiplica 12,4 per tre si copre praticamente il costo della manovra del governo tecnico (governo Monti) per il triennio 2012-2014.
Onde ne deriva che, in sostanza, dopo aver prosciugato le risorse dello Stato, si stanno prosciugando quelle dei cittadini attraverso manovre che hanno il solo scopo di apportare risorse agli "specialisti": è lo smantellamento dello Stato.
Il prossimo tassello non è escluso sia quello descritto da Guido Crosetto e Marco Zanni su "Libero" di sabato 11 febbraio 2017: «Prima, togliendo la sovranità monetaria e professando l'indipendenza della Bce faccio in modo che il debito pubblico diventi un problema, poi con le regole dell'Unione bancaria ti affosso il sistema finanziario e infine mi prendo tutto (usando anche i tuoi soldi detenuti dal Meccanismo europeo di stabilità) con un commissariamento e ti mando la Troika».
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