EXCALIBUR 97 - aprile 2017
in questo numero

Guerra civile spagnola: 80 anni dalla battaglia di Guadalajara

Un modesto scontro militare assurto a simbolo di lotta ideologica europea

di Paolo Cau
Sopra: la zona di Guadalajara nei pressi di Madrid
Sotto: uno dei tanti testi sulla storica battaglia
Una decina di mesi dopo l'inizio della guerra di Spagna, di fronte a Guadalajara, una cittadina in posizione centrale nella penisola iberica sulla strada per Madrid, si svolse una dura battaglia tra le forze nazionaliste e quelle repubblicane. Quasi subito dopo la sua conclusione il risultato di questo combattimento fu celebrato come la "prima sconfitta del Fascismo", che per la verità sino ad allora aveva riconquistato i territori della Libia abbandonati durante la Grande Guerra e portato alla pacificazione delle tribù locali pronte, più che a ribellarsi agli Italiani occupanti, a massacrarsi tra loro, e conquistato, con grave disturbo della tracotanza inglese in Africa, l'Etiopia con una campagna di soli 7 mesi.
Ma fu poi così grave e fondamentale questa sconfitta? Ascoltiamo la propaganda dei "vincitori", poi la confronteremo con i fatti.
Gli ultimi strascichi di lotta si ebbero entro il 23 marzo 1937 e già la stampa internazionale proclamava che un'offensiva delle truppe fasciste italiane al servizio di Franco, tendente alla conquista di Madrid, era stata stroncata definitivamente dal contrattacco delle Brigate internazionali composte da generosi volontari, in cui predominavano elementi italiani di pura fede antifascista: gli Italiani "buoni" che avevano optato per lo stalinismo avevano vinto quelli "cattivi" o poveri stupidi che si erano illusi che il Fascismo avrebbe migliorato l'Italia e respinto per sempre il comunismo. Questi ultimi poi erano una vera orda, rispetto ai pochi strenui difensori, che li avevano messi in fuga dopo aver causato perdite che sfioravano la cifra di quasi 7 mila Italiani e ripreso tutto il territorio momentaneamente conquistato. Il buon Ernest Hemingway, sempre pronto a falsare i fatti, aveva detto che in quei giorni si era svolta una delle più grandi battaglie internazionali, mentre altri avevano paragonato lo scontro a quella battaglia di Bailén del 1808, dove per la prima volta una forza napoleonica di 20 mila effettivi (comandata da Pierre Dupont de l'Etaing, reduce da numerose vittorie) fu totalmente distrutta da un esercito spagnolo, appoggiato dalla popolazione locale: in entrambi i casi, come vedremo, si trattava di grossolane esagerazioni.
Ancora, altre fonti propagandistiche repubblicane avevano parlato di generali suicidi e di soldati italiani che si erano tolti gli scarponi per fuggire più in fretta sul nevischio che copriva il terreno...
I fatti, invece.
L'8 marzo 1937 un territorio superiore alla metà della Spagna continentale era sotto la bandiera "Sangre y Oro" riadottata dal governo franchista. Rimanevano i Paesi Baschi, proclamatisi indipendenti, la Castiglia e la Catalogna. Un tentativo, tra il novembre e il dicembre del 1936, di espugnare la capitale repubblicana, Madrid, era stato respinto da reparti neocostituiti con volontari internazionali per lo più filocomunisti, ed era quindi fallito. In gennaio, il "Generalisimo" Francisco Franco aveva comunque pianificato l'isolamento della metropoli: le sue truppe avrebbero dovuto varcare il fiume Jarama, 11 km a sud di Madrid, e un corpo misto di nazionalisti e Italiani si sarebbe dovuto spingere verso Guadalajara. La battaglia dello Jarama, in febbraio, si era conclusa con un'avanzata nazionalista sino alla città di Arganda, ma senza conseguire l'obiettivo di tagliare le comunicazioni tra Madrid e Valencia.
Ai primi di marzo '37, invece, l'attacco su Guadalajara venne effettuato dai soli Italiani del Corpo Truppe Volontarie, al comando di Roatta: in teoria, 3 Divisioni di Camicie Nere e una del Regio Esercito. L'8 marzo la sola 2ª Divisione CC.NN. "Fiamme Nere", preceduta da fuoco d'artiglieria, avanzò di circa 10 km contro un fronte guarnito dalla 50ª Brigata nemica e il giorno dopo erano conquistati altri 15 km, nonostante l'inesperienza dei soldati del C.T.V. e la maggior forza degli avversari (per esempio, i carri armati forniti dai Sovietici erano ben più potenti dei CV 35 da 3 tonnellate e armati di sole mitragliatrici), la mancanza di appoggio aereo (i campi dei nazionalisti erano ridotti ad acquitrini dal maltempo, al contrario di quelli repubblicani dal fondo solido) e l'impossibilità di affiancare alla "Fiamme Nere" un'altra Divisione. Invece, già dal 10 marzo, cominciarono a unirsi alla difesa di Guadalajara, ridottasi momentaneamente ai 1.850 uomini della 49ª Brigata e dell'XI Brigata Internazionale, ben 3 Divisioni, più la XII Brigata Internazionale: era questo il famoso reparto che comprendeva degli Italiani antifascisti: il Battaglione "Garibaldi", comandato da Pacciardi sino a poco prima e ora, a causa di una ferita, da Ilio Barontini. E il comando dell'intera Brigata (composta anche da un battaglione di Polacchi) fu assegnato a un altro Italiano, il comunista Nino Nanetti. L'11 marzo, puntando su Torija, gli Italiani avanzarono di altri 3 km, ma a mezzogiorno l'avversario effettuò un vigoroso contrattacco, appoggiato da 100 caccia e 2 squadriglie di bombardieri russi, che fece perdere parte del terreno conquistato al C.T.V.
Una sconfitta di "Italiani contro Italiani" si ebbe, in questa fase, a opera del Battaglione "Garibaldi", presso Palacio de Ibarra, che fu anche riconquistato dai repubblicani, le cui forze erano salite due giorni dopo a 20 mila uomini e si stavano preparando a passare il fiume Taju?a con un ponte di barche e riprendere Brihuega. Tra il 14 e il 17 marzo, le truppe di terra si riposarono, mentre l'aviazione "rossa" tormentava le fanterie italiane.
La mattina del 18, passato il ponte sul Taju?a, le Brigate Internazionali attaccarono la Divisione CC.NN. "Dio lo vuole" con l'appoggio di carri medi, ma un'altra divisione del C.T.V., la "Littorio" del Gen. Bergonzoli, riuscì ad arrestarle e persino farle arretrare dopo aver inflitto gravi perdite, ma fu proprio il comandante della "Dio lo vuole" che, riconoscendo l'impossibilità di resistere al pesante attacco corazzato, ordinò la ritirata.
Il fianco della "Littorio" rimase scoperto, ma il nemico non colse questa possibilità: anche Bergonzoli si rassegnò a una ritirata dei suoi, che avvenne senza panico e nel massimo ordine: da notare che, da giorni e giorni, gli Italiani avevano combattuto nel freddo e senza aver consumato un solo rancio caldo. I repubblicani riconquistarono una piccola parte del terreno perso, e dovettero fermarsi il 23 marzo su una linea che congiunge le località di Valdearenas, Ledanca e Hontanares. Gli Italiani avevano avuto 415 caduti, 1.969 feriti e 153 prigionieri.
I sedicenti vincitori, che in numerosi momenti avevano goduto di una superiorità numerica quantificabile in 4 a 1, avevano dovuto contare nelle loro file 2.200 morti, 4 mila feriti e lasciato nelle mani del nemico 400 prigionieri. La momentanea sconfitta, se pure era costata, com'è normale in queste circostanze, la rimozione di alcuni alti gradi, avrebbe influito così poco sul morale delle truppe e sulle operazioni seguenti, che fu praticamente l'ultima da parte del C.T.V.
Una parola, poi, sul Vice Commissario Ilio Barontini che comandò a Guadalajara il battaglione "Garibaldi": su di lui, definito valorosissimo da qualche fonte filocomunista e dai compagni, l'agente di Stalin in Spagna nello stesso periodo, riferì a Mosca che l'Italiano «in battaglia aveva avuto paura. A Guadalajara, piangendo e tremando per il terrore, aveva fatto una misera figura ed era diventato lo zimbello dei suoi uomini».
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