EXCALIBUR 163 - gennaio 2024
nello Speciale...

Introduzione (I parte)

Quando si parla di prigionieri italiani in Germania si intendono tutti quei militari catturati dopo le note vicende dell'armistizio dell'8 settembre del 1943 in Francia, nei Balcani e in Italia.
Va anche detto, però, che non tutti i comandi tedeschi, in Italia, adottarono lo stesso criterio. Kesserling, che comandava le armate tedesche del Sud, non procedette all'invio dei soldati catturati in Germania, ma li lasciò andare, dopo averli ovviamente disarmati. Questa massa enorme di soldati, circa 600-650 mila, non ebbero però dai Tedeschi lo status di prigionieri di guerra, né potevano averlo in quanto militari di uno stato di cui erano formalmente alleati. Infatti i Tedeschi adottarono per essi la formula di "Italienische militar internierte", abbreviato "Imi".
All'atto pratico tale status non mutava granché la situazione del loro trattamento nei lager tedeschi, anzi per certi versi erano sottratti alle tutele che la Convenzione di Ginevra garantiva ai prigionieri di guerra e alla possibilità di essere aiutatati dalla Croce Rossa internazionale. Per altro verso, anche il tentativo delle autorità di Salò di portare un qualche aiuto ai prigionieri veniva spesso e volentieri sabotato dalle autorità tedesche.
Il trattamento degli Imi subì una svolta importante con il cosiddetto accordo del luglio 1944 stipulato tra il governo della Rsi e il governo tedesco (Protocolli di Gubern del 30 luglio 1944). Tale accordo prevedeva la trasformazione degli Imi in lavoratori liberi. Degli Italiani, circa 450-500 mila optarono per il lavoro civile, 20-30 mila si arruolarono nelle forze armate tedesche e della Rsi, 70-80 mila decisero invece di rimanere nei lager.
Ci furono anche ulteriori contrasti perché i Tedeschi avevano escluso che l'opzione lavoro potesse riguardare gli ufficiali. Si arrivò a un compromesso per cui detta facoltà fu concessa a 3 mila ufficiali. Probabilmente quelli che si erano già dichiarati disponibili per lavorare. Ma la categoria degli Imi non esaurì il numero degli Italiani coatti in Germania.
A essi bisogna aggiungere 8.564 Ebrei e 23.826 deportati, per lo più partigiani e antifascisti. È superfluo aggiungere che il trattamento riservato ai deportati, segnatamente agli Ebrei, fu di una ferocia inaudita. A livello storiografico è ancora in corso un grande dibattito sul fatto che la stragrande maggioranza degli internati Imi rifiutò di aderire alla Rsi. La qual cosa è in gran parte vera, ma solo a patto che si consideri che la richiesta tedesca di aderire alla Rsi era rivolta solo agli ufficiali e ai sottoufficiali.
Hitler da subito aveva messo in chiaro che di utilizzare i soldati semplici non se ne parlava neppure. Si fece eccezione, alla fine del 1943, Quando il capo delle SS Himmler autorizzò l'arruolamento anche dei soldati semplici per la costituzione di reparti volontari di SS italiane, le adesioni furono nell'ordine di 10-15 mila uomini. Ai coatti bisogna aggiungere circa 100 mila uomini e donne che nel periodo '43-'45 si trasferirono in Germania per lavoro, allettati anche dalle favorevoli condizioni di ingaggio.
Fin qui il quadro storiografico sui prigionieri in Germania.
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