EXCALIBUR 163 - gennaio 2024
nello Speciale...

Credere, disobbedire, combattere (I parte)

postazione della batteria, Sardu è il 3º da sinistra
Postazioni della batteria, in alto Sardu è il 3º da sinistra, in
basso è al centro
postazione della batteria, Sardu è al centro
Sappiamo tutti del perché della sconfitta dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale, al pari della Germania e del Giappone.
C'è però una cosa che ci distinse dai nostri ex alleati: la totale insipienza, salvo pochissime eccezioni, degli alti comandi delle forze armate a fronte di un comportamento ammirevole dei gradi inferiori e delle truppe.
Ciò avvenne in maniera ancora più eclatante nella Marina Militare, indubbiamente l'arma che nel 1940, soprattutto dopo la resa della Francia, si trovò ad avere una assoluta predominanza sia quantitativa che qualitativa nel Mediterraneo. Malgrado ciò Supermarina (definizione dell'alto comando della flotta) adottò una strategia assolutamente timida e rinunciataria nei confronti della flotta inglese, affrontando pochissimi combattimenti e per giunta con risultati deludenti. Le grandi unità furono tenute alla fonda nelle basi di La Spezia e Taranto per tutta la durata della guerra.
Questo non impedì, peraltro, che un certo numero di antiquati aerei inglesi, nel 1941, mettesse fuori combattimento mezza flotta a Taranto. Ma la cosa più ignobile fu che, dopo essersi rifiutata di affrontare gli Alleati nel corso dello sbarco in Sicilia e a Salerno, adducendo la scarsità di riserve di nafta, una volta comunicato l'armistizio dell'8 settembre tutte le nostre navi uscirono dalle proprie basi per recarsi in pompa magna a Malta, contravvenendo a un codice d'onore di tutte le marine del mondo, che impone, in caso di resa, l'affondamento delle proprie navi. È in questo contesto che parliamo di un valoroso sottoufficiale di marina sardo: Giovanni Sardu.
Sardu nasce a Gonnosfanadiga (CA) il 9 giugno del 1909 da una famiglia di agricoltori. I genitori decidono di farlo studiare nell'unica scuola superiore allora accessibile per i Sardi non ricchi: il seminario. Ma il ragazzo è un po' troppo irrequieto e ciarliero per cui viene gentilmente rispedito a casa. Non si perde d'animo e sceglie l'altra strada, obbligata per chi in qualche modo, allora, voleva mutare il proprio stato sociale: arruolarsi nei corpi militari dello stato.
Sardu optò per la Marina Militare. In tale veste, negli Anni 30, partecipa alle principali imprese belliche del tempo: la riconquista della Libia e il conflitto in Africa Orientale, guadagnandosi il grado di sottocapo di seconda classe. Nel 1938 viene destinato all'isola di Rodi, facente parte del Dodecaneso che l'Italia aveva strappato all'Impero Ottomano con la guerra di Libia del 1911. Nell'isola del Mediterraneo orientale incomincia pure a mettere casa fidanzandosi con una ragazza del posto, Fiorenza, che diventerà madre dei suoi figli.
Lo scoppio della guerra lo coglie con l'incarico di capo cannoniere della prima batteria anti aerea, quella che dava il là alle altre batterie dell'isola, dipendenti dal comando marina, in caso di incursione nemica. La batteria era chiamata "Bianco" e si trovava in località Kremosti.
Era dotata di tre cannoni da 120/45 e uno da 76/17 e di un certo numero di mitragliatrici pesanti antiaeree. La consegna era che la batteria non poteva aprire il fuoco se non dietro ordine diretto del responsabile del comandante della marina di Rodi, Capitano di Fregata Adriano Arcangioli.
All'alba del 4 settembre del 1940 due formazioni di bombardieri inglesi si presentarono con tutta tranquillità sul cielo di Rodi iniziando la loro azione tesa soprattutto a colpire gli aeroporti dell'isola. Tutte le batterie antiaeree erano in stato di allarme e tutti i marinai erano ai propri pezzi pronti ad aprire il fuoco.
Ma l'ordine non arrivava. Incuria? Sabotaggio? Intesa col nemico? Ai posteri l'ardua sentenza. Fatto sta che all'ennesimo passaggio di un aereo sopra la sua postazione, Sardu non si trattenne: aprì il fuoco e abbatté il velivolo. Immediatamente tutte le altre batterie spararono contemporaneamente.
Fu una strage: 7 aerei abbattuti, un numero imprecisato danneggiati e tutto il resto in fuga. A terra furono catturati 8 avieri inglesi. Cessata l'incursione arrivò a Sardu la telefonata del suo comandante: come si era permesso di aprire il fuoco senza la sua autorizzazione? E giù addirittura la minaccia di deferimento alla corte marziale.
Successivamente il governatore del Dodecaneso, il Generale quadrumviro della marcia su Roma Cesare Maria De Vecchi si recò in visita alla batteria accompagnato dal comandante della marina per congratularsi con i marinai.
A fronte dell'elogio del governatore, il comandante di marina esclamò: «Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto».
Al che Sardu se avesse potuto gli avrebbe sparato addosso. Il bollettino di guerra n. 90 del 6 settembre del 1940 così riportava l'episodio: «Forze navali e aeree nemiche hanno tentato nelle prime ore dell'alba di ieri un attacco alle nostre basi aeree e navali dell'Egeo. L'attacco è stato condotto da due formazioni aeree dirette sui campi di Gaddura e Marizza, ove venivano colpiti due nostri apparecchi al suolo [...], l'intervento della nostra caccia e delle batterie c.a. ha in breve respinto l'attacco, abbattendo sette velivoli nemici. Gli equipaggi di tre apparecchi, composti complessivamente di 8 persone, sono stati catturati».
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