EXCALIBUR 16 - febbraio 2000
in questo numero

Militanti nel F.d.G. (2)

La mia militanza nel F.d.G.

di Andrea Curreli
Ho iniziato a simpatizzare per il M.S.I. verso i sedici anni e mi sono iscritto al Fronte della Gioventù a diciannove anni. Il Fronte allora a Cagliari era in contestazione con la federazione del partito e in segno di protesta aveva occupato la sede in Via Cugia. Mi ricordo che era un viavai di ragazzi a tutte le ore, i simpatizzanti e gli amici si univano ai militanti tanto che era difficile anche distinguere i vecchi dai nuovi. Questo è testimoniato dal fatto che il primo modulo di iscrizione al F.d.G. mi fu messo in mano da un ragazzo che conoscevo al di fuori della sezione e che non avrei mai più rivisto lì dentro. Dopo la contestazione la situazione si normalizzò, la federazione sarebbe rimasta quella che era e, grazie a Dio, il Fronte della Gioventù anche.
Ci trasferimmo in Via Zagabria e lì iniziò, tra mille polemiche in casa e poche ore passate sui testi universitari, la mia militanza vera e propria. Ci vedevamo due volte alla settimana dalle venti a seguire, insomma fino a quando c'era qualcosa da fare oppure finché si aveva voglia di discutere. I volantinaggi e le affissioni erano l'unico modo per portare avanti le nostre battaglie, erano un mezzo per farci sentire ma avevano altri indubbi vantaggi, primo fra tutti l'aggregazione della comunità. Capii immediatamente che "militanza" avrebbe voluto dire "sacrificio", perché non c'erano mai orari e c'era sempre qualcosa da fare a metà sera come all'una di notte. Se avessi avuto davanti dei burocrati di partito sarei probabilmente scappato, al contrario l'esempio che ricevevo da chi c'era prima di me, mi spingeva ad affrontare il sacrificio con serenità.
La nostra sezione di Via Zagabria non era un appartamento arredato con telefono e fax, era invece uno scantinato umido pieno di manifesti per terra con a fianco barattoli di vernice e pennelli, un odore di colla nell'aria e i tavoloni con sopra gli scatoloni di volantini e i portacenere pieni di cicche. Tutti i ragazzi che si avvicinavano avevano davanti questo quadro e potevano scegliere; molti si allontanavano e altri rimanevano, era una selezione naturale che permetteva alla comunità di agire.
Durante l'occupazione di Via Cugia, c'era uno striscione affisso al muro con su scritto la frase del Duce «Il Fascismo non promette onori, cariche o guadagni, ma il dovere e il combattimento» e questo era lo spirito di quel gruppo. Chi voleva la tessera oppure la carica prima di tutto se la doveva meritare sul campo. Molti erano convinti che le cariche in quel gruppo volessero dire potere, io ho capito che volevano dire solo maggiori responsabilità e maggiore sacrificio. Quando il militante non svolgeva il suo seppur minimo compito, toccava al dirigente tappare la falla per raggiungere il risultato. In ogni caso il militante era responsabilizzato nel suo compito e se qualcuno prendeva un impegno era tenuto a mantenerlo pena l'essere considerato inaffidabile.
Dal punto di vista dottrinario è inutile quanto fazioso non riconoscere che tutta quella comunità si rifaceva direttamente al Fascismo, anche se alcuni dirigenti si prodigavano perché questa adesione non fosse troppo evidente agli occhi della gente. Tutti noi ci sentivamo depositari dei valori che il Fascismo aveva proposto e cercavamo di metterli in pratica. Da questi valori e da questa visione del mondo, scaturivano le nostre battaglie di tutti i giorni. Ricordo che una volta un'emittente locale voleva intervistare i giovani del F.d.G. su quali fossero i loro uomini di riferimento: i militanti più "anziani" furono pertanto convocati in sezione per decidere chi tra loro avrebbe parlato a nome del gruppo. La maggioranza dei militanti, peccando forse di fantasia, si era divisa subito sui nomi di Benito Mussolini e Ettore Muti, più qualche altro sporadico nominativo. Alla fine fu scelto per essere intervistato l'unico ragazzo che aveva detto Gianfranco Fini. La figura in televisione forse fu ottima oppure passò del tutto inosservata, in compenso il camerata suddetto fu preso ampiamente in giro per tutta la giornata e forse se lo ricorda ancora.
I rapporti con il partito di allora possono riassumersi in una parola: inesistenti. Ho fatto la prima e ultima tessera del M.S.I. solo l'ultimo anno di militanza nel F.d.G. e non ho mai affisso un manifesto elettorale del partito perché qualcuno preferiva pagare il Comune per farlo, ma alla fine il vecchio M.S.I. si prendeva forse ciò che di più caro potessi dargli: il mio voto (tra l'altro quasi sempre di lista).
Da Via Zagabria ci spostammo in Via Paoli prima e in Via San Lucifero poi, la comunità era cresciuta a una quarantina di militanti più o meno regolari, la sezione apriva quasi tutti i giorni e Cagliari iniziava a farsi conoscere anche fuori dall'Isola nei vari campi nazionali che si organizzavano. Il M.S.I. cresceva e il Fronte con lui, finché qualcuno iniziò a pensare che era necessario, come mi disse Storace, «trovare nuovi modi di intendere la militanza». Arrivò a quel punto il Congresso di Fiuggi e la "nuova militanza" voleva dire tante cose tranne militanza. Avvertii il cambiamento quando il responsabile giovanile di non so quale circolo parlando del suo gruppo mi illustrò il loro "modo d'intendere la militanza": volantini al computer da distribuire alle conferenze o ai dibattiti del partito, destra europea con tanto di liberismo economico, nessuna critica a Gianfranco Fini ma soprattutto nessun rispetto per chi, come noi, aveva in qualche modo contribuito in maniera completamente diversa da loro al successo di quel partito. Inutile dire che non appena mi si offrì la possibilità attraverso la Fiamma Tricolore di staccarmi da A.N., la colsi al volo. Non ho citato volontariamente i nomi dei miei camerati di allora perché volevo ricordare con queste quattro righe, come sempre, la comunità militante intera che in quegli anni si costituì e che ora per varie vicissitudini è scomparsa.
Continuo a pensare che Alleanza Nazionale ha delle grossissime responsabilità nella scomparsa di quel modo di intendere la militanza e nella conseguente creazione di aspiranti onorevoli regionali a vent'anni.
Se qualcuno si sente in dovere di replicare su quanto ho scritto e raccontato è pregato di farlo, dato che ho gettato volontariamente diversi semi di polemica.
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VICO SAN LUCIFERO