EXCALIBUR 159 - ottobre 2023
in questo numero

L'insostenibile pesantezza dei tassi

Con assoluta indifferenza è arrivato l'ulteriore aumento da parte della Bce

di Angelo Marongiu
l'inesorabile scalata del tasso d'interesse Bce
Sopra: l'inesorabile scalata del tasso d'interesse Bce
Sotto: Christine Madeleine Odette Lagarde, presidente della Bce
<b>Christine Madeleine Odette Lagarde</b>, presidente della Bce
Sono ben dieci i rialzi del tasso di riferimento Bce che dall'inizio della guerra in Ucraina la Signora Lagarde ha deciso di adottare.
Dal primo rialzo del 27 luglio 2022 - che portava il valore del tasso principale dallo 0% allo 0,5%, con un'inflazione già all'8,9% nei paesi Ue e del 7,9% in Italia - si è arrivati all'ultima decisione di un tasso al 4,5% con un'inflazione al 5,3% nei paesi Ue e al 5,4% in Italia.
All'annuncio del nuovo inasprimento dei tassi di interesse diffuso dalla Lagarde, gli unici applausi che si sono levati - nel silenzio generale degli altri paesi - sono stati quelli della Bundesbank e del ministro tedesco delle finanze Christian Lindner, tanto per far comprendere chi, in ultima istanza, ha le leve decisionali. Lindner ha dichiarato: «Stiamo ponendo fine alla politica fiscale espansiva degli anni del coronavirus#187;.
Quindi austerità per tutti.
Con il rincaro dei mutui e la contrazione della domanda e degli investimenti, con un calo del Pil italiano anche nel 3º trimestre, gli effetti dannosi della decisione si sono già dispiegati.
In un precedente articolo sull'argomento - "La tempesta e il foulard di Lagarde", Excalibur 142, giugno 2022 - avevamo concluso: «Ne vedremo delle belle», e così è.
Facciamo qualche considerazione sulla situazione attuale, anche se i numeri possono apparire noiosi, ma hanno il pregio di essere chiari.
Intanto si pensa che la stretta monetaria potrebbe forse incontrare una pausa, ma è meno probabile una sua conclusione.
Pare che la decisione non sia stata unanime e pur essendoci un ampio consenso sull'analisi della complessiva e complessa situazione macroeconomica, alcuni governatori delle Banche Centrali, non ultimo il nostro Ignazio Visco e il prossimo Fabio Panetta, avrebbero preferito una pausa per avere una più concreta certezza sulle condizioni dell'economia.
Comunque, a detta della Lagarde, la decisione è stata presa «con una maggioranza solida».
Sibillina, come al solito, la dichiarazione di chiusura: «Non possiamo dire che i tassi abbiano raggiunto un picco [...], le future decisioni del consiglio direttivo assicureranno che i tassi Bce saranno fissati a un livello sufficientemente restrittivo per tutto il tempo necessario».
Quindi - come sempre in questi casi - un approccio dipendente dai dati economici per determinare livello e durata della stretta.
Ma quali dati verranno esaminati?
Se ci limitiamo al livello dell'inflazione - parametro contro il quale la Bce mette in campo la sua strategia - la situazione in Europa ha una variabilità estrema.
Riferendoci al mese di giugno 2023 (disponibile nei suoi dettagli) il livello di inflazione nei paesi Ue era attestato al 5,5%. Ma in questo valore medio concorrono paesi come la Slovacchia (11,3%), Estonia (9%), Croazia (8,3%). Valori ben più alti della media, ma a gennaio la Slovacchia aveva un valore del 15,1%, l'Estonia aveva il 18,6% e la Croazia il 12,5%.
Il primato è quello della Lettonia, che a gennaio aveva un'inflazione del 21,4% e a giugno dell'8,1%.
Sono numeri aridi, ma il gioco dei tassi Bce prende la mossa da questi dati.
L'osservato speciale è naturalmente la Germania che, sorprendentemente, aveva un livello di inflazione del 6,8%, cioè 1,3% in più del livello dell'Eurozona.
Livello inaccettabile per Berlino perché - al di là delle sue ataviche paure - è risaputo che l'economia tedesca resta sempre quella trainante in Europa e la sua salute decreta anche la nostra.
Se volessimo tracciare una linea di separazione tra "buoni e cattivi", questa linea separerebbe l'Europa centro-orientale dagli altri paesi (eccetto Malta al 6,1%).
La Germania non ha solo il problema dell'inflazione, poiché è in crisi anche l'andamento della sua economia con il Pil in calo dello 0,3% dall'inizio dell'anno. Il Bund tedesco ha visto il suo rendimento schizzare a quasi il 3%, al massimo del luglio 2011 durante la crisi del debito sovrano. Considerando che quella tedesca è l'economia più forte e a essa sono agganciate migliaia di aziende in Europa, il quadro è ancora più sconsolante.
I paesi buoni sono i soliti con una sorpresa.
Il più bravo è il Lussemburgo (non ci vuole molta fatica visto che la sua economia si basa quasi esclusivamente sul danaro) con un'inflazione all'1%, poi l'Olanda all'1,6% e, a sorpresa, la Spagna anch'essa all'1,6%.
La Spagna mette a profitto le decisioni del governo Sanchez, che ha adottato politiche economiche non convenzionali, quali lo sganciamento del prezzo del gas da quello dell'elettricità; ha inoltre ridotto la tassazione indiretta, imposto limiti ai prezzi dell'energia e tassato i super-profitti delle banche.
È opportuno segnalare che tra marzo 2022 e febbraio 2023 la Spagna ha importato 61.344 gigawattora di Gnl dalla Russia (sì, dalla Russia!), contro i 33.305 di 12 mesi prima.
La decisione della Bce di portare il tasso di riferimento al 4,5% - considerata la situazione della Germania - era quindi ampiamente prevedibile: addirittura il "Financial Times" ha definito l'aumento di 0,25 punti base una decisione da colomba (dovish decision).
Sul futuro lo scenario è così ricco di incertezze di carattere extra-economico che certo risulta difficile fare qualche previsione.
Un esempio: il cartello dei produttori di petrolio ha confermato un tetto produttivo di 40,46 milioni di barili al giorno fino al 31 dicembre 2024, con una riduzione consistente del precedente livello di produzione. Quanto questa decisione peserà sul futuro prezzo dell'energia non è dato sapere, con il prezzo al barile che ormai si avvicina ai 100 dollari americani.
Arriviamo a un altro punto controverso.
Scolasticamente sappiamo che le fasi economiche non sono tutte uguali (Europa e Stati Uniti hanno economie differenti) e che le cause dell'inflazione sono diverse e che talvolta se ne presentano anche contemporaneamente con un mix micidiale di difficile calibrazione.
Le più ricorrenti sono: inflazione da domanda e occorre diminuirne l'eccesso; inflazione da costi e è necessario contenere per quanto possibile i costi di produzione.
Ma accanto a queste cause esiste anche l'inflazione importata, quando un paese industrializzato dipende per alcuni beni essenziali dal resto del mondo.
Ultima è la cosiddetta inflazione da profitto, quando le imprese riescono a scaricare sui prezzi finali non solo gli aumenti derivanti dall'aumento dei costi, ma anche a incrementare il loro margine.
Adam Smith direbbe che non c'è nulla di nuovo nel mondo: nel suo "Ricchezza delle Nazioni" scriveva «in realtà i profitti tendono a far salire i prezzi molto più degli alti salari».
La tassa sugli extra-profitti delle banche proposta dal nostro governo può forse rientrare in quest'ultima tipologia, anche se i maggiori profitti delle banche derivano da un livello del costo del denaro fissato da altri, ma è indubbio che la reticenza o il rifiuto ad aumentare il rendimento dei loro correntisti ha giocato un considerevole ruolo nella decisione del nostro governo.
Da vecchio liberale sono contrario per principio a un intervento di questo tipo da parte dello Stato, come è certo che la decisione presa dal governo non rende il nostro paese particolarmente attrattivo e il segnale dato non è dei migliori.
Non si comprende poi perché all'annuncio di una decisione, giusta o sbagliata non importa, ci sia - in un secondo tempo - la ricerca di modifiche correttive (tassazione una tantum, riduzione del campo di applicazione, parziale deducibilità, esclusione dei titoli di Stato), quasi che tale decisione sia presa d'impulso senza la freddezza (o la capacità) di valutarne appieno le conseguenze.
Infine, ancora una volta sarebbe opportuno ricordare ai signori di Francoforte che le cause dell'inflazione negli Stati Uniti sono legate a una particolare dinamica dei prezzi, mentre in Europa è sostanzialmente legata a un aumento del costo delle materie prime. Le ricette degli Usa possono funzionare oltre Oceano e non è detto che da noi funzionino allo stesso modo.
Forse bisognerebbe esplorare altre strade e cambiare un copione che sembra già scritto a prescindere dagli scenari di rappresentazione.
Il rischio è quello di svegliare una bestia altrettanto pericolosa: la recessione.
Ovviamente in questo panorama non certo propenso a generare ottimismo si innesta un ulteriore elemento di incertezza soprattutto in un paese come il nostro, ed è la definizione del nuovo Patto di Stabilità.
Lo stesso Gentiloni ha auspicato una sua modifica, poiché in caso contrario andrebbe adottato quello precedente l'epoca del coronavirus, causa della sua sospensione: il ripristino del vecchio Patto sarebbe devastante.
Siccome prorogare la sua sospensione per avere più tempo per accordarsi su altri parametri di un nuovo Patto sarebbe la decisione più saggia, si è scelta la strada di approvarne uno nuovo a ogni costo.
Sull'argomento si sono già sbizzarriti maggioranza e opposizione: non so quali decisioni verranno prese, ma c'è un dato sul quale sarebbe bene riflettere, perché nuovo o vecchio Patto di Stabilità l'Italia ha poco di cui rallegrarsi e non saranno pochi decimali a cambiare la realtà.
A luglio il debito pubblico italiano ha raggiunto l'invidiabile vetta di 2.858 miliardi, 10,4 miliardi in più del mese precedente, quasi 88 miliardi rispetto ad un anno fa.
Per interessi su questa montagna di debito paghiamo ogni anno circa 75 miliardi (la manovra economica del 2024 si attesterà sui 20-25 miliardi di euro, quindi circa tre volte l'entità della finanziaria).
Allora, tasso di interesse Bce, Patto di Stabilità, Mes e altri bizantinismi sono uno specchietto per allodole dietro il quale nascondiamo la nostra incapacità di mettere un freno agli sprechi e di alleggerire una zavorra che ci fa andare a fondo.
È pur vero che l'economia non è una scienza esatta, fatta da formule astratte, ma ogni tanto occorrerebbe innalzare la bandiera del dubbio e decidere di diventare una nazione seria, perché ora non lo siamo.
La Lagarde sfoggia sui suoi tailleur una splendida civetta: forse potrebbe sostituirla con un'aquila notoriamente dalla vista più acuta.
La Meloni sinceramente non so cosa potrebbe sfoggiare come simbolo di ottimismo e speranza, forse affidarsi al sangue di San Gennaro che si è liquefatto anche quest'anno non sarebbe sbagliato.
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