EXCALIBUR 161 - novembre 2023
in questo numero

Israele non è più la terra dei miracoli

O forse questo non è ancora il tempo dei miracoli

di Angelo Marongiu
la via verso Gaza è una strada incerta
Sopra: la via verso Gaza è una strada incerta
Sotto: sulla via di Gaza, territorio "occupato" totalmente in mano
palestinese dal 2005, e Parigi, stelle di David apparse in numerose
abitazioni di Ebrei... ci ricorda qualcosa?
sulla via di Gaza, territorio 'occupato' totalmente in mano palestinese dal 2005
Parigi, stelle di David apparse in numerose abitazioni di Ebrei... ci ricorda qualcosa?
Non è certo facile affrontare di nuovo quanto avviene nello scenario medio orientale: notizie che cambiano ogni ora, dichiarazioni e smentite, un esercito che entra nella Striscia con azioni caute dall'esito incerto. Occupare la Striscia non è certo un'opzione percorribile: significherebbe un permanente stato di allerta per una nazione che - nonostante le opinioni contrarie - desidera un po' di pace.
I bombardamenti e le esecuzioni mirate da parte di Israele hanno spianato la strada, ma Hamas continua il suo lancio di missili con qualche sporadico supporto da parte di Hezbollah nel nord di Israele.
In mezzo ci sono milioni di Palestinesi schiacciati tra questi due fuochi, che non sanno dove andare o dove possono andare e i 240 ostaggi (o quelli che sono ancora vivi) che Hamas continua a tenere ben stretti e nascosti.
Alla fine del mio articolo dello scorso mese, subito dopo l'inizio di questo massacro che ha dato il via a questa ennesima tragedia, avevo immaginato che si sarebbero ripetuti puntualmente i soliti ritornelli.
Mi sono sbagliato sull'Onu: il solito banale comunicato di condanna della violenza e di invito alla moderazione non c'è stato. All'interno del Consiglio di Sicurezza non si è raggiunta l'unanimità e la mozione di condanna di Hamas è stata bloccata. Russia e/o Cina?
Le esternazioni del Segretario Antonio Guterres hanno dimostrato, ove mai ce ne fosse stato ancora bisogno, la neutralità di questi "alti" rappresentanti.
Questa è l'ennesima dimostrazione dell'ipocrisia, della falsità e dell'inutilità di un'organizzazione nata per risolvere pacificamente i conflitti del mondo.
Il Papa ha espresso la sua costernazione, invitando alla pace e al rilascio degli ostaggi. Non ha mai nominato Hamas e i suoi orrori. Quando ha incontrato la delegazione dei rabbini d'Europa gli è mancata improvvisamente la voce e ha lasciato loro una nota scritta. Il mondo era in ansia, ma la voce e il brio gli sono miracolosamente ritornati per l'udienza della sera.
Qualche problema di interpretazione lo ha suscitato il Cardinale Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme, che candidamente ha fatto presente che storicamente il Vaticano ha sempre sostenuto una soluzione di due stati per il conflitto israelo-palestinese e, in qualità di piccolo stato del mondo, ha sempre provato una "naturale simpatia" per i Palestinesi. Pizzaballa è il Patriarca di Gerusalemme, città delle tre religioni.
Anche noi, come Unione Europea, non ci facciamo mancare niente.
Se Ursula Von der Layen, Roberta Metsola, Antonio Tajani e Annalena Baerbock hanno voluto fisicamente incontrare Netanyahu per mostrare tutta la loro solidarietà e condannare la barbarie di Hamas, contemporaneamente si è palesata l'altra anima dell'Europa, quella dei distinguo e dei «sì, ma...».
Alle voci di condanna di Hamas esternate da chi è voluto andare a Tel Aviv, ha fatto quindi da contraltare l'insieme di quelle a sostegno di Gaza.
Joseph Borrell insiste nel rispetto del diritto internazionale e della fine dell'assedio di Gaza. Sono poi volate le parole di condanna per la sospensione dell'erogazione di acqua ed elettricità, della fornitura di carburante, contro la richiesta di abbandonare la parte nord della Striscia e puntigliosamente si è ribadito che sospendere gli aiuti ai Palestinesi sarebbe stata una forma di "punizione collettiva".
E puntualmente si è ripetuto che Israele deve rispettare le norme del diritto internazionale umanitario.
È indubbio che la popolazione di Gaza sia in estrema sofferenza e che tra i tanti morti ci siano, come sempre, delle vittime innocenti; ma è fuori discussione che se Hamas dopo il massacro del 7 ottobre in terra di Israele fugge a Gaza, sveste i panni del terrorista (o del combattente, se preferite) e si nasconde tra la popolazione civile, Israele ha poche scelte su come operare.
Da una parte si uccidono e si torturano donne, bambini, anziani con una crudeltà inimmaginabile, si sequestrano centinaia di persone da usare come scudi umani e come oggetti di scambio e poi - solo per Israele - si invoca il rispetto del diritto internazionale umanitario? Sembra un paradosso, ma è la realtà delle anime buone.
I civili che sono morti e che moriranno a Gaza sono tutti - indistintamente - sulla coscienza di Hamas.
Israele sa che non deve punire Hamas come ha fatto altre volte: deve sconfiggerlo, altrimenti, passata questa carneficina, tutto ritornerà come prima.
Significa che - a meno di cambiamenti per ora non ipotizzabili - soldati e carri armati entreranno nella Striscia (interamente palestinese dal 2005) e combatteranno in ogni strada e in ogni isolato, frugheranno in scuole, ospedali, moschee per trovare i covi, le armi, i tunnel, gli ostaggi. Con tutte le regole non scritte di una guerra asimmetrica(1).
Il diritto internazionale tanto invocato per Israele (mai per Hamas e sarebbe ridicolo invocarlo per loro) costringe a creare una netta distinzione tra obiettivi militari e civili (punto 4.3.1 del citato documento).
I soldati non devono mai essere mescolati con e fra i civili. Devono avere uniformi e i loro veicoli militari contrassegnati e identificati.
Scuole, ospedali e luoghi di culto non sono obiettivi militari, ma se nascondono combattenti o diventano depositi di armi o luoghi dai quali far partire minacce e offese, tale distinzione viene meno.
Questo è il cosiddetto principio di distinzione (punto 4.1 del citato documento), che si chiede venga rispettato da Israele ma non da Hamas.
Se Hamas non rispetta questo principio e si mescola alla popolazione civile, le conseguenti vittime sono sulla sua coscienza.
Per quanto riguarda la presa di ostaggi (punto 5.2.8) e l'uso di scudi umani (punto 5.2.9) bisognerebbe ricordare ad Hamas che, oltre che dal citato documento, l'azione è espressamente vietata dagli articoli 34 e 51 della Convenzione di Ginevra.
Mi sembra un po' ridicolo citare tale Convenzione per Hamas, ma le nostre belle anime sempre pronte a difendere e giustificare dovrebbero, almeno loro - farsi un esame di coscienza.
Citando Camus vorrei ricordare a queste persone che «esiste un limite invalicabile, una soglia del male attraversata la quale ogni causa giusta viene ribaltata nel suo contrario».
Questa soglia Hamas l'ha superata da lungo tempo.
E vorrei ancora chiedere: bisogna accettare tutto, gli orrori, le nefandezze, le atrocità per stare "dalla parte giusta"?
Un altro termine che si usa sempre molto volentieri è quello della "proporzionalità nella risposta" (punto 4.5). «Prendere le precauzioni possibili per ridurre il rischio di danni ai civili e ad altre persone protette... lo standard di proporzionalità non richiede che dagli attacchi non derivi alcun danno accidentale». È questo il tallone d'Achille del Diritto Internazionale di Guerra, poiché chi pone in essere l'attacco dà maggior peso al vantaggio militare, mentre chi subisce l'attacco colloca sul piatto della bilancia l'aspetto umanitario.
Non esiste nessuna scala obiettiva di giudizio ma, ripetiamo, ogni vittima innocente è sulla coscienza di Hamas. Hamas era ben consapevole della reazione di Israele dopo l'uccisione di 1.400 Israeliani e il rapimento di 240 persone (compreso un bambino di 9 mesi: grande trofeo di guerra).
Quindi è ipocrita parlare di proporzionalità: che significa? Qual è il limite della reazione (non vendetta) e chi lo stabilisce?
In questi giorni si sono svolte decine di manifestazioni a favore della Palestina e contro Israele.
Un amplificatore di queste manifestazioni è stato anche l'episodio dell'ospedale Al-Alhi di Gaza City, attribuito frettolosamente a un attacco israeliano (New York Times in prima fila e il nostro Televideo a ruota). Un'analisi più accurata dei fatti, la geolocalizzazione del missile e la dinamica dell'esplosione hanno completamente ribaltato le accuse contro Israele e attribuito l'evento a un "infortunio" della Jihad islamica o di Hamas.
Questo non ha comunque impedito le decine di manifestazioni contro Israele "assassino", non solo nei paesi arabi ma in tutto il mondo, in Europa, in Italia.
Quello che mi sconcerta è quanto avviene nei paesi occidentali: quanto odio represso, nascosto, che, alla prima occasione, rigurgita così violentemente nelle piazze. È come se questa vicenda avesse tolto un tappo e tutto l'odio, l'acredine, l'ignoranza che perseguita Israele sia venuta fuori.
Noi continuiamo a cullarci nei sogni buonisti: gli immigrati islamici e i loro figli non si integreranno mai nella nostra società, non facciamoci illusioni.
Noi abbiamo rinunciato alla nostra religione per cullarci in un vacuo nichilismo, ma loro la mantengono ben salda e questo farà sì che resteremo sempre "noi" e "loro", a prescindere dai facili riconoscimenti di nazionalità o meno.
E quando Israele dovesse sparire dalla faccia del mondo, cancellata da ogni carta geografica, le prossime vittime saremmo noi, gli infedeli.
Tutte queste manifestazioni per i Palestinesi "vittime" e contro Israele sono la più evidente dimostrazione che Israele deve esistere, «perché è l'unico paese al mondo nel quale non c'è antisemitismo» (Elena Loewenthal, "Gli Ebrei questi sconosciuti", 1996).
Se solleviamo lo sguardo da questa ristretta zona del mondo e lo allarghiamo, ci imbattiamo in un significativo danno "collaterale" dalle conseguenze per ora ignote.
Sulla falsariga degli "accordi di Abramo", il principe ereditario dell'Arabia Saudita Mohammed bin Salam e Netanyahu sembravano pronti a sottoscrivere uno storico accordo tra i due Stati. L'Arabia Saudita avrebbe riconosciuto lo stato di Israele e iniziato a finanziare la Palestina; dall'altro lato Israele si sarebbe impegnato a bloccare ogni nuovo insediamento e avrebbe concesso un ulteriore livello di autonomia all'Autorità palestinese.
Questo accordo avrebbe proiettato l'Arabia Saudita, paese sunnita, al centro del mondo arabo, mettendo in ombra le pretese dell'Iran, paese sciita, di essere l'indiscusso protagonista dell'area. Da una parte un sostegno alla causa palestinese basato su aiuti e sviluppo, dall'altra un sostegno basato esclusivamente sulla violenza.
In questo contesto generale - e forse era questo il proposito di Hamas - non si è levata la protesta generale dei paesi arabi contro Israele, né tantomeno Hezbollah si è sognata di aprire un altro fronte devastante nel nord e le proteste in Cisgiordania si sono alternate a quelle contro la corruzione della sua classe dirigente.
Tranne Cina, Turchia e Iran non si sono levate tante voci di protesta: quelle più scalmanate e incoerenti sono nel nostro amato mondo occidentale, da buoni idioti utili per ogni causa.
Russia, Cina, Corea del Nord, Iran, Turchia: i focolai di tensione certo non mancano e i miracoli non sono all'orizzonte.
Nel ripensare agli orrori della Shoah (non Olocausto, per favore) fu detto «mai più».
È un termine che ha due significati: "non farlo mai più" (e questa si rivela sempre più una vana speranza), ma anche, ed è quello che Israele ha fatto e sta facendo, "non subirlo mai più".
Con buona pace dei nostri dimostranti capaci di gridare «Israele fermati!» ma non di dire, se non blandamente, ad Hamas di rilasciare gli ostaggi.
È la solita posizione di comodo: di Israele possiamo farne a meno, mentre i paesi arabi ci fanno sempre comodo, hanno il petrolio.
Netanyahu, al termine del Gabinetto di Guerra, del quale fa parte anche Benny Ganz, leader dell'opposizione, e altri tre ex generali, ha dichiarato: «Ci sarà una tregua solo se ci restituiranno i rapiti».
Fino ad allora è inutile aspettare i miracoli.
(1) Per alcuni dei punti trattati di seguito si fa riferimento a "I princìpi fondamentali nella condotta delle operazioni militari", a cura del Centro Alti Studi per la Difesa - Istituto Superiore dello Stato Maggiore Interforze (www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Documents/Precorso_Diritto_Umanitario.pdf).
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