EXCALIBUR 162 - dicembre 2023
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In Africa

In Africa l'armata italotedesca si batteva valorosamente con uomini, carri e cannoni che risultarono insufficienti solo nella battaglia finale del Nord Africa. Lo sforzo bellico tedesco era proiettato all'Est, mentre i comandi germanici nutrivano apprensioni anche per la costa dell'Atlantico, dove era già avvenuto un fallito tentativo di sbarco inglese a Dieppe. Per l'Africa e il Mediterraneo si poteva mandare poco.
A Stalingrado, che non era nemmeno un obiettivo indispensabile dell'Operazione Blu, si manifestò la svolta della guerra per l'Asse, in contemporanea con quella di El Alamein. La prima battaglia che anticipava quella finale in Egitto era stata combattuta sul mare ed era stata vinta dalle forze aereonavali dell'Asse. La Gran Bretagna nella primavera del 1942 aveva nel Mediterraneo soltanto 4 incrociatori e 15 cacciatorpediniere, contro una ancora temibile flotta italiana che comprendeva 4 grandi corazzate, 9 incrociatori pesanti, 55 cacciatorpediniere, 50 sommergibili e decine di nuove e magnifiche corvette, oltre a 20 U-Boot tedeschi. Malta poteva cadere in un momento, la guarnigione era composta di soli 26 mila soldati che dovevano difendere coste, porti e aeroporti, sparsi in due isole su un territorio di oltre 400 km quadrati.
Ma la spina di Tobruk, occupata da una grande divisione sudafricana e protetta a distanza da un Corpo d'armata britannico, per Italiani e Tedeschi era da estirpare. Rommel, in un colloquio con Hitler del 17 febbraio 1942 a Rastenburg, aveva capito che non gli sarebbero stati concessi altri mezzi e uomini. Doveva cavarsela insieme all'Armata italiana composta da 3 Corpi d'armata per raggiungere il Medio Oriente, perché era già in elaborazione il piano per arrivare dalla Russia in Georgia e Iran, dove dovevano giungere le truppe italotedesche attraverso l'Egitto. Dalla Grecia arrivò soltanto la 15ª Brigata paracadutisti del Gen. Rancke.
Generalmente gli storici italiani sono propensi a denigrare le forze combattenti italiane e, se non possono spingersi oltre, descrivono con ridicolo le artiglierie e i carri italiani, deridendo anche i comandanti italiani.
Questo atteggiamento denigratorio deriva certamente da una diffusa avversione nei confronti del regime che portò l'Italia in guerra e anche per la traccia storica lasciata dalle memorie di generali e ammiragli che avevano interesse a dipingere un fosco quadro militare per discolparsi delle loro personali incapacità, soprattutto negli ambienti degli alti comandi romani. I più recenti storici stranieri, invece, dopo l'ubriacatura passionale di quanti avevano scritto nel dopoguerra, hanno cominciato a vedere più obiettivamente le vere deficienze militari del loro campo.
Raymond Cartier(1) scrive che i carri armati inglesi «Crusader, Valentine e Matilda sono svantaggiati dal calibro, veramente risibile, di 37 mm. L'acquisto più prezioso è il carro medio americano Grant. Analogo al B francese del 1940, col suo cannone da 78 fisso collocato troppo in basso, esso deriva da una concezione sorpassata, però permette un combattimento alla pari con il Panzer. Dei 630 carri armati dell'8ª Armata (inglese, n.d.s.) 160 sono Grant».
Ken Ford(2) a sua volta condivide questo giudizio: «Mentre l'addestramento e il supporto dell'8ª Armata erano perfettamente adeguati, le armi e l'equipaggiamento erano spesso inferiori allo standard tedesco [...]. I carri Crusader e Valentine erano i più numerosi nel deserto ed entrambi erano armati di piccoli cannoni da 2 libbre (40 mm, n.d.s.), anche se alcuni Crusader III più recenti con cannoni da 6 libbre (57 mm, n.d.s.) cominciavano ad arrivare in Egitto. Il Crusader aveva anche fama di essere inaffidabile [...], il carro Grant aveva i suoi svantaggi. Il cannone principale era montato in casamatta laterale e aveva un brandeggio molto limitato [...], con i suoi tre metri di altezza il Grant torreggiava sul campo di battaglia ed era quindi difficile da nascondere in pieno deserto».
In altri termini, era facilmente colpito dalle artiglierie nemiche. Le armi italiane trovano finalmente giustizia in questa affermazione di Ken Ford: «Il carro (italiano, n.d.s.) M13/40 era scomodo e poco potente [...], il suo cannone da 47 mm, tuttavia, era preciso e la sua capacità di penetrazione era superiore a quella dei carri britannici Crusader e Valentine».
Infatti, constatato il micidiale tiro degli M13/40 e dei nuovi M13/41, negli archivi militari italiani si trovano molte sollecitazioni rivolte alle industrie belliche affinché accelerassero la produzione di proiettili perforanti per carri. Anche l'artiglieria italiana non era quella cosa inutile che ci hanno descritto.
Ken afferma che nel deserto «il cannone (italiano, n.d.s.) da 140 mm tirava un colpo da 40 kg a una distanza di quasi 24 mila metri"» e prosegue ammettendo che le divisioni italiane «rappresentavano un elemento vitale nelle tattiche di manovra di Rommel [...], le spesso sottostimate divisioni italiane di fanteria aggregate alla Panzerarmee Afrika erano indispensabili. Le divisioni Trento, Sabratha, Bologna, Brescia e Pavia raggruppate nel X e XXI corpo [...] erano capaci di battersi con efficacia [...], utili per assorbire l'impatto di qualunque attacco massiccio [...], non mancarono numerosi esempi di eccellenza, come quelli offerti dai bersaglieri, dai paracadutisti della Folgore, dagli artiglieri e dai carristi».
(1) Raymond Cartier, "La Seconda guerra mondiale - Da Pearl Harbor allo sbarco in Italia", volume secondo, Oscar Mondadori, 1977.
(2) Ken Ford, con illustrazioni di Howard Gerrard, "El Alamein luglio 1942", stampato nel 2011 presso Dedalo Offset, Madrid, titolo originale "El Alamein 1942 - The turning of the tide", Osprey Publishing Ltd..
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