EXCALIBUR 162 - dicembre 2023
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La terza battaglia di El Alamein

gli schieramenti nell'ultima battaglia
Gli schieramenti nell'ultima battaglia (cliccare
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La Terza battaglia fu quella finale che si concluse con la sconfitta italotedesca, dopo 12 giorni di combattimenti feroci iniziati il 23 ottobre e conclusi il 4 novembre 1942. Montgomery aveva impiegato quei due mesi a riorganizzare l'armata. Per prima cosa ripristinò la struttura delle sue divisioni, eliminando i gruppi di brigate miste che imitavano le formazioni italotedesche perché, sosteneva, le divisioni dovevano agire come tali, con tutte le specialità di fanteria, artiglieria e nuclei corazzati.
Poi diede ordine che le truppe familiarizzassero coi nuovi equipaggiamenti e coi carri M4 Sherman americani appena arrivati, subito suddivisi tra le brigate corazzate, con uno squadrone di Sherman per ogni reggimento corazzato. Descrivere l'andamento dell'offensiva britannica sarebbe lungo. È preferibile darne un sunto, precisando subito che fu una battaglia di logoramento, simile a quella che oggi si consuma tra Russia e Ucraina o come quella che il Vietnam del Nord impose agli Usa.
Egli sapeva che i suoi carri e i suoi uomini erano superiori in numero: 200 mila soldati e 1.100 carri armati, contro i 100 mila italotedeschi che disponevano di 540 carri armati. Inoltre, i Britannici avevano in riserva lontana altri 200 carri di diverso tipo. Lo scontro iniziò il 23 ottobre con un tremendo fuoco di artiglieria britannico. Il sostegno aereo era assicurato dalla Raf, dai reparti aerei dei Dominions e dalla Usaaf, per un totale di 104 gruppi e 530 aerei, contro i 150 aerei della Luftwaffe e i 200 della Regia Aeronautica.
L'armata italotedesca era consapevole della disparità di forze e tutte le sue formazioni erano da mesi sotto il livello dell'organico di guerra. Anche la guerra italiana sul mare era a loro sfavore, perché i rifornimenti erano divenuti difficili: l'ammiragliato italiano aveva pianificato di non rischiare altre perdite. Mussolini su questa vicenda protestò più volte e in una circostanza, davanti all'affermazione che erano andati perduti diversi incrociatori pesanti ritenuti dalla Regia Marina indispensabili per l'uscita in mare delle corazzate, obiettò che comunque le navi venivano affondate direttamente e inutilmente nei porti. Non prese però alcun provvedimento per spingere la flotta a difendere i convogli che colavano a picco. Bisogna precisare che nel complesso la "guerra dei convogli" era stata vinta dagli Italiani e l'affidabile storico Giorgio Giorgerini(3), in un suo recente lavoro, ha dimostrato che oltre l'85% dei rifornimenti era arrivato nei porti della Libia e successivamente, malgrado fosse divenuta la "rotta della morte", anche in Tunisia.
Rommel, prima di partire in Germania per cure mediche, aveva organizzato bene le formazioni dell'Africa Corps, ordinando la fusione dei reparti combattenti italotedeschi di fanteria fino al livello di battaglione e lasciando i reparti mobili nelle immediate retrovie. La 15ª Panzer insieme alla Divisione corazzata Littorio fu schierata al nord, mentre la 21ª Panzer e l'Ariete furono schierate al sud insieme al XX Corpo di De Stefani. La riserva era costituita dalla 90ª leggera tedesca con la motorizzata Trieste.
La linea vicino alla costa era invece tenuta dal XXI Corpo italiano guidato dal Gen. Gloria, con la Trento affiancata alla tedesca 164ª. La chiusura dello schieramento era assicurata dalla Bologna, mentre più a sud era stato posizionato il X Corpo del Gen. Frattini con la Brescia e i paracadutisti tedeschi. All'estremo sud della Depressione di Qattara erano schierati i parà della Folgore e la fanteria della Pavia.
Questa organizzazione difensiva era completata da molte postazioni italiane avanzate, protette da circa 450 mila mine anticarro e antiuomo, ognuna delle quali presidiata da una compagnia di fanteria con cannoni anticarro e mitragliatrici. Più avanti di questo dispositivo c'erano altri capisaldi con armamento leggero, il cui scopo era quello di permettere che l'artiglieria pesante e la fanteria dell'armata fossero posizionate il più lontano possibile dal fuoco nemico.
C'erano anche pochi ma temibili semoventi italiani M75/18, bassi sull'affusto e poco visibili, che avevano una notevole potenza di fuoco e, più arretrati per diversi chilometri, erano posizionati cannoni controcarro e reparti corazzati. Era stata schierata anche la 19ª Divisione contraerea tedesca con 86 efficaci cannoni da 88 mm e altre formazioni italotedesche con 68 cannoni da 76 mm e altri 290 cannoni da 50 mm. Nelle lontane retrovie c'erano altri reparti della Flak antiaerea posti a difesa di porti e aeroporti con altri 52 cannoni da 88 mm.
Questo schieramento spiega perché Britannici e truppe dei Dominions durante nove giorni di terribili combattimenti, da 23 al 31 ottobre, non sfondarono le linee. Montgomery aveva imitato i reparti dell'Asse creando un corpo corazzato mobile con capacità autonome e per questo compito scelse il X Corpo, con le grosse Divisioni corazzate 1ª, 10ordf; e 8ordf;, con l'aggiunta della 2ª neozelandese rinforzata dalla 9ª Brigata corazzata britannica. Il suo XIII Corpo disponeva della 7ª corazzata.
In quel momento la Royal Artillery era assolutamente superiore in numeri e mezzi, con oltre 2.200 pezzi da 6 e 2 libbre. Perciò l'attacco fu preceduto da un fuoco infernale, cui seguì il movimento delle fanterie, gettate per prime nella manovra di sfondamento per agevolare i corazzati britannici, in modo da costringere il nemico a rispondere con i carri e tentare la loro distruzione con attacchi mirati.
Gli Italiani disponevano solo di 278 carri e 20 carri leggeri, mentre i Tedeschi erano riusciti a schierarne soltanto 249. L'attacco inglese partì dalla costa fino alla cresta di Ruweist Ridge al centro del fronte, con tre attacchi simultanei dal nord al sud. Il peso maggiore lo sosteneva il XXX Corpo britannico con quattro divisioni di fanteria, sperando che gli Italiani cedessero d'un tratto, permettendo così alle divisioni corazzate di logorare il nemico. Il XXX aveva l'ordine di evitare lo scontro coi corazzati nemici, l'importante era trattenere i suoi carri: lo sfondamento era affidato ai Corpi X e XIII in un'altra località, quella di Miteirya Ridge. Per sostenere l'assalto, l'artiglieria britannica aprì il fuoco con una media di 102 colpi al giorno per ogni cannone.
(3) Giorgio Giorgerini, "La guerra italiana sul mare", Oscar Mondadori, 2002
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