EXCALIBUR 162 - dicembre 2023
nello Speciale...

L'alba ad El Alamein

una delle poche lapidi commemorative italiane
Sopra: una delle poche lapidi commemorative italiane
Sotto: veglia dei reduci della Folgore di El Alamein
nell'anniversario della battaglia
veglia dei reduci della Folgore di El Alamein nell'anniversario della battaglia
L'alba offrì uno spettacolo diverso da quello immaginato dal comando inglese. Gli Italiani non avevano ceduto e i corazzati dell'Africa Corps fortuitamente non erano caduti nella trappola solo per la confusione sul campo. Le perdite britanniche erano pesanti, erano caduti oltre 4.500 uomini delle divisioni neozelandese e sudafricana, mentre la scozzese Highland, le cui cornamuse non avevano impaurito il nemico, registrava già 2.100 caduti e nessuna delle divisioni corazzate aveva raggiunto gli obiettivi. Il piano di Montgomery era fallito e decise di cambiarlo.
Meglio ancora, lo cambiò per altre due volte. Una volta tentò verso il sud, ma la Folgore e la Pavia tennero le posizioni pur con gravi perdite. Intanto si erano verificati forti contrasti tra i generali britannici e quelli dei Dominions. Per esempio, il comandante sudafricano Gen. Freyberg era furioso con il Gen. Gatehouse che comandava la 10ª corazzata, perché questi non aveva sfruttato il varco aperto dalla fanteria e anzi aveva preferito riparare i carri dietro l'altura di Kidney Ridge. Freyberg protestò con Montgomery lamentando le perdite, ma si sentì rispondere che lui era disposto a subire anche il 100% della perdita di carri e uomini, perché alla fine la sua robusta riserva avrebbe prevalso sull'Asse.
Più tardi a muso duro disse la stessa cosa al Gen. Currie della 9ª Brigata: doveva condurre i suoi uomini verso la pista di Rahman anche a costo del cento per cento delle perdite, perché questo serviva per aprire il varco ai corazzati. A questo punto lanciò l'"Operazione Supercharge", vera e propria battaglia di logoramento per uomini e mezzi dei fronti contrapposti, con una nuova offensiva che iniziò il 2 novembre 1942 e si concluse il 4.
Rommel fu costretto a manovrare i carri per tamponare i varchi, ma il carburante disponibile per i corazzati doveva essere utilizzato col contagocce, obbligato com'era a impiegare i carri contro ogni modesto avanzamento nemico. Più l'armata italotedesca reagiva, più si logorava, aumentando il vantaggio britannico, che teneva una riserva di altri 500 carri ancora intatti. La brigata di Currie perse 70 carri leggeri sui 94 che possedeva, ma quello sforzo aprì il varco alla 1ª corazzata.
La 15ª Panzer aveva ormai 40 carri, l'Ariete e la Littorio avevano subìto fortissime perdite. Poi si scatenò l'attacco finale delle divisioni corazzate britanniche e a quel punto Rommel pianificò la ritirata, ma l'alto comando tedesco lo vietò, costringendolo a impiegare le ultime unità in grado di combattere. Tuttavia il 5 novembre i comandi dell'Asse sul campo decisero la ritirata generale e il 13 novembre l'armata era già a Tobruch dopo violenti combattimenti lungo la Balbia.
Con El Alamein e con Stalingrado sfumò definitivamente il progetto di creare un collegamento militare tra le tre potenze del Tripartito. Lo storico tedesco Andreas Hillgruber(4), professore di Storia medievale e moderna dell'Università di Colonia, spiega molto bene quale fu il vero significato delle due battaglie. Hitler, che a Stalingrado aveva messo sulla difensiva l'armata di von Paulus, preoccupato per l'emergenza russa, non diede ascolto all'Ammiraglio Raeder che gli espose ancora la sua visione strategica: «Le posizioni di Suez e di Bassora sono le colonne occidentali del dominio britannico nell'area indiana. Se smantelliamo con la pressione comune delle potenze dell'Asse queste posizioni [...] l'Impero britannico sarà distrutto [...] un attacco contro Suez [...] chiarirà la situazione nel Mediterraneo, saranno raggiunte le fonti petrolifere di Mossul [...], ci saranno ripercussioni sulla Turchia, nel Vicino Oriente [...], gli Inglesi vedono la gravità della minaccia nell'area egiziana e temono un aggancio strategico tra la condotta della guerra italotedesca e quella giapponese».
(4) Andreas Hillgruber, "Storia della 2ª guerra mondiale", ed. Laterza, Bari 2004.
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