EXCALIBUR 162 - dicembre 2023
in questo numero

Quale futuro per Israele e Palestina?

Un po' di storia: senza saggezza e buona volontà non si può disegnare un domani di pace

di Angelo Marongiu
i due Stati della risoluzione Onu n. 181
i due Stati dopo la prima guera arabo-israeliana
Sopra: i due Stati della risoluzione Onu n. 181 e dopo la prima
guerra arabo-israeliana
Sotto: la Cisgiordania oggi (cliccare sull'immagine per ingrandire)
la Cisgiordania oggi
Amos Oz, uno dei maggiori scrittori israeliani, morto nel 2018, pubblicò un articolo sul "Corriere della Sera" del 4 marzo 2015, nel quale - da eterno pacifista - cercava di indovinare un futuro per la sua terra. Egli scrisse: «Iniziamo dalla cosa più importante, una questione di vita o di morte: se non ci saranno due Stati, ce ne sarà uno solo; se ce ne sarà uno solo, sarà arabo; se sarà arabo, chissà quale sarà il futuro dei nostri e dei loro figli. Uno Stato arabo, quindi, dal mare al fiume [...]. Esclusa la realtà dei due Stati e relegato al dominio della fantasia l'ipotesi del binazionalismo, ecco che avanza minacciosa la prospettiva di un unico Stato arabo, in grado di cancellare il nostro sogno sionista. Nel tentativo di arginare una visione così funesta, questa terra - dal fiume Giordano al mar Mediterraneo - potrebbe essere governata da una dittatura di fondamentalisti ebraici [...], ma anche questa non durerà. Dovrà fare i conti con il boicottaggio internazionale, assistere ai bagni di sangue interni o entrambe le cose, finché non sarà costretta a cedere davanti all'inevitabile: uno Stato arabo dal fiume Giordano al mar Mediterraneo [...]. E la soluzione dei due Stati? Molti di noi, che appoggiano questa prospettiva, sostengono che l'attuale conflitto non può trovare soluzione in altro modo».
Dalla stesura di questo articolo sono passati oltre otto anni e se allora Amos Oz era convinto che fosse un momento estremamente favorevole per porre fine alle ostilità e trovare un compromesso soddisfacente, penso che ora non sarebbe altrettanto convinto.
O forse no?
Quando si pensa alla soluzione dei due Stati in genere si fa riferimento alla creazione di uno Stato palestinese - Israele è già a pieno diritto uno Stato - riconosciuto anche dallo Stato di Israele, che abbia dei confini stabiliti attraverso negoziazioni tra le due parti.
L'origine dei due Stati ha una genesi lontana.
La Commissione Peel, creata dal governo britannico durante il suo Mandato della Palestina, suggerì che il paese fosse spartito in due Stati, uno ebraico (il 20% del territorio per un'estensione di 5.200 chilometri quadrati) e uno arabo che occupasse la parte restante (circa 21.000 chilometri quadrati). Gerusalemme e Betlemme (per accontentare il Vaticano) e un corridoio di accesso al mare sarebbero stati internazionalizzati.
La Commissione raccomandò anche l'allontanamento dei cittadini arabi dall'area destinata allo Stato ebraico, in analogia a quanto fatto dai Turchi nell'Asia Minore nel 1922 con l'espulsione di un milione e mezzo di Greci, come i Russi che espulsero i Polacchi dalla Galizia, i Cecoslovacchi con i Tedeschi dai Sudeti.
La proposta, accettata con molta riluttanza da Ben Gurion (Golda Meir era invece contraria all'allontanamento della popolazione non ebraica), fu respinta dagli Arabi.
La seconda proposta nacque su iniziativa dell'Onu tramite la sua agenzia Unscop (United Nations Special Committee on Palestine), con la quale gli Arabi palestinesi rifiutarono da subito ogni collaborazione. Accettarono di collaborare invece i leader ebraici, gli Inglesi e più tardi i capi di alcuni Paesi arabi.
La proposta andò in Commissione a Ginevra e le opinioni non furono unanimi: sette paesi (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Uruguay) raccomandarono la creazione di due Stati; un paese (Australia) si astenne; altri tre (India, Iran e Jugoslavia) suggerirono uno Stato confederato arabo-ebraico.
La decisione fu presentata all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
La proposta iniziale vide ancora una volta l'accettazione da parte ebraica e il rifiuto da parte araba, che minacciò una guerra se la Palestina non fosse divenuta uno Stato arabo.
Gli Inglesi si defilarono, Stati Uniti e Unione Sovietica si dichiararono a favore del piano dell'Unscop.
La votazione avvenne a Lake Success, New York, il 29 novembre 1947: trentasei paesi, tra i quali Stati Uniti e Unione Sovietica, favorevoli; tredici, tra i quali tutti gli Stati arabi, contrari; dieci, tra i quali la Gran Bretagna, astenuti.
È importante sottolineare che, in nessuna relazione preliminare, né nella risoluzione 181 del novembre 1947 si fa riferimento a uno "Stato palestinese", ma a uno "Stato arabo": il concetto politico di "Palestina" non esisteva, nascerà molto più tardi.
La proclamazione dello Stato di Israele avvenne il 1º maggio 1948 e ventiquattro ore dopo gli eserciti arabi scatenarono la prima guerra contro Israele.
La fine del conflitto e la sconfitta degli eserciti arabi vide l'area dello "Stato arabo" smembrata: Israele occupò il settore occidentale di Gerusalemme e la Galilea; la Giordania occupò la Cisgiordania; l'Egitto la Striscia di Gaza.
Egitto e Giordania - mai contestati né dall'Onu né da altri organismi, compresa la Lega Araba - si guardarono bene dal mettere in moto un qualunque atto teso alla costituzione di un embrione di Stato nei territori assegnati dall'Onu alla popolazione araba e da loro occupati: questo dal 1948 al 1967 (ben 19 anni!), fino a quando scoppiò la "Guerra dei sei giorni".
La risoluzione Onu n. 242 (22 novembre 1967, dopo la "Guerra dei sei giorni"), ribadita dalla risoluzione 338 (22 ottobre 1973, dopo la "Guerra dello Yom Kippur") chiedeva a Israele di ritirarsi dai territori occupati, riconoscendo implicitamente le conquiste del 1948.
Sottolineo che il testo inglese (lingua di riferimento per questa risoluzione - le altre lingue adottate erano francese, spagnolo, russo e cinese) parla di ritiro «from territories occuped in the recent conflict»: è omesso l'articolo determinativo "the", quindi non si parla di ritiro "dai" territori occupati, ma di ritiro "da" territori occupati. Il tutto subordinato a un accordo tra le parti.
Quindi: frontiere sicure e riconosciute dopo un accordo. Cosa mai avvenuta.
Nel 1967 Khartoum ospitò il summit della Lega Araba e il 1º settembre furono proclamati i famosi tre "no": 1) nessuna pace con Israele; 2) nessun riconoscimento dello Stato di Israele; 3) nessuna negoziazione con Israele.
Da allora ben poco è cambiato per alcuni attori di questa vicenda.
Si sono succeduti decenni di sforzi diplomatici per risolvere una situazione ormai incancrenita: Oslo, Camp David, Hebron, Wye River, Taba, Annapolis sono le tappe di un lungo percorso nel quale una soluzione sembrava a portata di mano, ma l'intransigenza di una delle due parti ha sempre chiuso la porta a ogni speranza.
Oggi si torna a parlare di due Stati, cioè di una soluzione che era disponibile ben 76 anni fa: migliaia di morti da entrambe le parti per qualcosa che l'intransigenza araba ha sempre rifiutato e che ora è vista da alcuni come chiave per chiudere il conflitto.
Se al tempo dell'articolo di Amos Oz esistevano concrete possibilità di perseguire questa soluzione - e ancora di più durante tutti i negoziati andati in fumo - allo stato attuale le difficoltà sono enormemente aumentate.
Intanto la soluzione "due Stati per due popoli" prevede la costituzione di uno Stato palestinese unico nei territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Quindi Israele dovrebbe cedere i territori conquistati nel 1967 e i Palestinesi rinunciare definitivamente a quelli perduti nel 1948.
Ci sono alcune questioni cruciali di complessa definizione e soluzione.
1. Gerusalemme. Entrambe le parti la rivendicano come capitale e dividere la città è praticamente impossibile, anche perché ognuno vuole l'assoluto controllo sui luoghi a esso sacri che contiene.
2. La definizione dei confini e gli insediamenti israeliani. I confini del 1967 non sono più ripristinabili poiché al loro interno - nella parte della Cisgiordania - sono stati costruiti nuovi insediamenti di coloni israeliani. La costruzione della barriera, gli sbarramenti, il collegamento tra gli insediamenti, isolando di fatto alcuni villaggi palestinesi, e i controlli delle vie per garantire la sicurezza, rendono praticamente impossibile una suddivisione ragionevole del territorio.
3. La continuità territoriale. Con l'attuale configurazione, ma anche con il ritorno ai confini del 1967, non sarebbe possibile una coerente continuità territoriale tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, territori nei quali evidentemente è necessario ipotizzare un'unica entità statuale. A suo tempo, negli incontri per trovare un accordo - in particolare con la leadership di Ehud Barak - era stato disegnato un "corridoio" di collegamento tra le due aree e uno scambio di territori.
4. Il problema dei rifugiati palestinesi. È sempre stato al centro delle negoziazioni tra i due attori e motivo principale del fallimento dei negoziati. Secondo la parte araba i discendenti dei rifugiati palestinesi devono avere il "diritto di ritornare" nelle terre oggi occupate da Israele e dalle quali erano fuggiti. Questione insuperabile anche a causa della parzialità dell'Onu, che - costituendo l'Unrwa - solo per i Palestinesi attribuì tale definizione anche ai discendenti delle persone divenute profughe nel 1948. Per l'Onu i rifugiati palestinesi erano 711 mila nel 1950 e oltre 5 milioni nel 2015. Pensare che Israele accetti il ritorno nelle sue terre di una massa così ingente di "profughi", con il conseguente sconquasso demografico, è assolutamente impensabile.
È quindi uno scenario che rende difficile la reale costruzione di uno Stato palestinese, almeno nei termini fino a ora ipotizzati.
E infine arriviamo al punto cruciale.
Nella Cisgiordania è insediata un'Autorità Nazionale Palestinese capeggiata da Abu Mazen: corrotta, inefficiente, ambigua, ma pur sempre con una parvenza di riconoscimento internazionale; Gaza, dopo aver esautorato con la violenza l'Anp, è governata da Hamas.
La guerra, chiamiamola così, scatenata da Hamas contro Israele non ha certo motivazioni territoriali. Va ricordato che all'interno del suo statuto è previsto l'annientamento dello Stato ebraico e l'uccisione degli Ebrei ovunque essi siano nel mondo.
Hamas nega l'identità palestinese e qualunque idea legata alla nazionalità, poiché contraria a tutte le divisioni del mondo islamico: l'intero mondo musulmano deve superare le distinzioni interne e costituirsi in un unico Stato. Prima di conquistare il resto del mondo.
Nasce da questa idea, nucleo dell'ideologia dei Fratelli Musulmani, l'ostilità verso quei Paesi arabi che intendono normalizzare i loro rapporti con Israele.
Può sembrare paradossale ma non lo è: l'annientamento di Hamas è la sola strada che può portare a un futuro Stato palestinese.
Israele non ha altra alternativa che sconfiggere ed eliminare Hamas. I primi a esserne felici sarebbero i Palestinesi di Gaza, che, in queste circostanze, sono le vere vittime di Hamas, accomunate a quelle di Israele. E ne sarebbero ben felici i Paesi arabi, soprattutto quelli confinanti, come Giordania ed Egitto.
Il futuro è da disegnare. Politologi ed esperti di strategie internazionali si sono sbizzarriti a trovare soluzioni.
1. Due Stati: a) due Stati per due popoli; b) scambio di territori (piano Lieberman), c) Regno unito arabo con la Giordania; d) proposta The Arc (Rand) con Giudea e Samaria unite con ampie strutture di collegamento.
2. Stato unico uninazionale: a) opzione giordana; b) stato secolare arabo; c) stato islamico arabo
3. Stato unico binazionale: a) federazione binazionale; b) Stato unitario binazionale.
L'ingrediente necessario è la buona volontà, tantissima da entrambe le parti, e soprattutto la disponibilità a reciproche rinunce: scambio di territori, corridoio di collegamento Gaza-Cisgiordania, parziale internazionalizzazione di Gerusalemme.
Le strade percorribili per portare la pace in quella terra benedetta esistono.
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