EXCALIBUR 162 - dicembre 2023
in questo numero

Il mito alla base del sogno degli Ebrei

Alle origini della teorizzazione dello Stato di Israele

di Pier Luigi Piras
murale di <b>Naftali Hertz Imber</b> a Leopoli
testo e musica di 'HaTikvah' (La Speranza)
<b>Theodor Herzl</b> (1860-1904)
<b>Laurence Oliphant</b> (1829-1888)
Sopra: murale di Naftali Hertz Imber a Leopoli, testo e musica di "HaTikvah" (La Speranza) e Theodor Herzl (1860-1904)
A sinistra: Laurence Oliphant (1829-1888)
In uno degli angoli più affollati della città di Leopoli (Lviv), nel cuore dei quartieri storici, s'impone da pochi mesi allo sguardo dei passanti il faccione di Naftali Hertz Imber, in un murale coloratissimo inaugurato alla fine di aprile 2023, grazie all'iniziativa della associazione "Israelin-Ukraine", in occasione delle celebrazioni per l'"IndependeceDay75" (75th anniversary of Israeli Independence).
Naftali Hertz Imber, 1856-1909(1), autore ucraino di sangue ebreo originario di Zolochiv, inseguiva l'alto l'ideale artistico in modo irrequieto e itinerante, incarnando uno spirito millenario della sua gente. Avendo ricevuta una rigida educazione talmudica tradizionale (per cui si escludeva qualsivoglia contenuto di studio delle materie secolari), risultò per lui pressoché inevitabile, in età più matura, coltivare il sogno di riconquista della Terra Promessa, al punto da indurlo, nel 1882, a seguire passo passo, nella veste di segretario particolare, il cammino di Laurence Oliphant, un cristiano sui generis (da lui conosciuto a Costantinopoli solo qualche settimana prima) convinto della irriducibilità delle ragioni del sionismo: insieme vissero l'avventura del viaggio in Palestina.
Risiedettero prima ad Haifa e poi a Dalyat Al Carmel, un villaggio druso sul monte Carmelo. Oliphant, già dal 1878, un anno dopo il Congresso di Berlino, aveva elaborato un piano per la colonizzazione o ricolonizzazione ebraica della Palestina: progetto che venne sottoposto all'attenzione di Benjamin Disraeli e di Robert Cecil (terzo Marchese di Salisbury), ricevendo una calorosa accoglienza.
I punti essenziali del piano erano i seguenti:
1) bisogna istituire in Palestina un centro di immigrazione per gli Ebrei della Anatolia e della Rumelia;
2) questo dovrà essere un luogo di asilo sicuro anche per tutti gli altri Ebrei facenti parte delle comunità indicate dalle clausole del trattato stipulato a Berlino;
3) così gli Ebrei si salveranno dall'oppressione e dall'ingiustizia e non costituiranno più un problema per le grandi potenze del mondo;
4) in Palestina ci sono molte terre vuote e potenzialmente fertili in cui si potrebbe sviluppare una agricoltura molto produttiva;
5) gli insediamenti ebraici serviranno per civilizzare le tribù arabe dei beduini;
6) l'ordine pubblico di tutta la regione sarà garantito dalle nuove istituzioni politiche decise dagli Ebrei;
7) gli Ebrei che hanno fatto grande fortuna in Europa forniranno capitali e assistenza tecnica ai coloni che svilupperanno l'agricoltura, l'industria e tutte le arti;
8) lo sviluppo civile ed economico consentirà anche agli immigrati musulmani di inserirsi nelle nuove comunità e sistemarsi dal punto di vista lavorativo;
9) l'assegnazione dei lotti di terra da conquistare all'agricoltura comporterà il versamento di corrispettive somme di denaro nelle casse erariali dello Stato dell'Impero Ottomano.
Nel volgere di breve tempo, il governo inglese fece proprio e propagandò con efficacia il contenuto del piano, tanto che nel giro di qualche mese molte comunità ebraiche, specie dell'Europa dell'Est, ne fecero una sorta di manifesto per l'affermazione delle proprie ragioni storiche(2).
A opporsi all'idea dell'arrivo in massa degli Ebrei da ogni dove fu il sultano turco, Abdülhamid II(3), sul quale ricadeva la responsabilità del regime di protettorato della regione palestinese(4). I governi delle grandi potenze continentali, nella maggioranza dei casi, videro con favore la proposta dello stravagante personaggio nativo del Capo coloniale britannico del Sud Africa di individuare un luogo che diventasse la nuova Patria per i fedeli del Dio della assoluta trascendenza, e in futuro forsanche il loro nuovo Stato, per puro calcolo opportunistico: si stavano creando le premesse per liberare gli Stati europei della troppo ingombrante presenza degli Ebrei, ma soprattutto si profilava all'orizzonte, finalmente, la soluzione alla spinosissima "questione ebraica".
Diversi esponenti della leadership europea dell'epoca erano convinti della impossibilità di venire a capo della stessa "questione" millenaria, fintanto che i lettori del Testamento Antico fossero rimasti in gran numero nei loro Paesi. Senza considerare storiograficamente quest'ultimo aspetto, resterebbe un gravoso dilemma il fatto della fondazione dello Stato di Israele e ci si dovrebbe accontentare, come d'altronde è quasi sempre accaduto negli ultimi settant'anni, di spiegazioni preconfezionate di comodo, intrise di ipocrita ideologia, utili per acquietare le coscienze dei benpensanti bramosi di spacciare per verità la banalizzazione per cui si sarebbe prodotta una sola mela marcia antisemita nel florido giardino civile del Vecchio Continente.
C'era un fondo di astioso antisemitismo in ogni settore della vita pubblica e tutti lo sapevano, riconoscendo spesso le ragioni di chi lo manifestava.
Fra il 1877 e il 1878 Naftali Hertz Imber aveva elaborato il testo della poesia "HaTikvah" ("La Speranza"), durante il soggiorno nella cittadina di Iasi, in Romania(5); confezionata definitivamente quindi nel 1884(6) sviluppando un tema tipico della ispirazione romantica, per cui nel suo girovagare in Palestina si accordò con un contadino ebreo per studiare la migliore installazione possibile dello stesso testo sull'impianto metrico di una antica melodia, nota come canzone della tradizione popolare della Moldavia e della Romania(7). La translitterazione in lingua italiana può essere resa nel modo che segue:
«Finché dentro il cuore, in profondità, l'Anima Ebrea ci sussurrerà, e alle porte dell'Est, laddove sorge il sol, un occhio guarda al monte di Sion, non è persa la Speranza; Speranza già bimillennaria, d'esser un popolo libero in Terra di Sion, Gerusalemme»(8).
Dopo la messa in musica del testo, esso venne quindi scelto come inno ufficiale del movimento del sionismo nel 1933(9), sebbene già nel 1903, in seno ai lavori del "Sesto Congresso Sionista"(10), i versi di "HaTikvah" furono cantati con grande slancio dai seicento delegati (perché finalmente Binyamin Ze'ev Herzl s'era arreso all'evidenza, riconoscendo la bellezza della canzone(11)): i sionisti accettarono di buon grado la canzone, sin da subito, nei primi loro insediamenti in Terra Santa per poi essere designata informalmente come inno dello Stato di Israele sin dalla fondazione.
L'ufficializzazione della scelta arrivò però soltanto il 10 novembre 2004 attraverso la promulgazione di una legge apposita del parlamento(12).
Qua si esprime nel modo più semplice il desiderio di tornare a casa. Un desiderio che era profondamente radicato nell'animo della quasi totalità degli Ebrei, quanto il senso della diaspora, in epoca contemporanea già mezzo secolo prima della grande tragedia dell'Olocausto: essi volevano trovare il modo di rientrare a casa a prescindere dalle persecuzioni che i nazionalsocialisti tedeschi avrebbero loro riservate.
Ci volevano tornare perché dai tempi di Babilonia il chiodo, nel loro cuore, era stato conficcato. Parecchio di là da venire era pertanto la stessa possibilità concreta della fondazione dello Stato di Israele, impostasi internazionalmente proprio come conseguenza "politicamente corretta" dell'Olocausto e questa sottolineatura appare significativa per comprendere il senso contestualizzato dell'opera di Hertz Imber.
In questa ottica, ossia al fine di tratteggiare gli elementi essenziali del contesto storico nel quale vide la luce l'attuale inno dello Stato di Israele, è doveroso ricordare che a monte delle rime del poeta di Zolochiv ci stanno, quantomeno, tre fondamentali momenti propedeutici: 1) l'affare Dreyfus; 2) la pubblicazione di "Der JudenStaat" di Theodor Herzl; 3) lo svolgimento del "Primo Congresso del Sionismo" e la conseguente fondazione della Organizzazione Sionista Mondiale.
Naturalmente, come ogni serio ricercatore di Storia sa, il criterio con cui si delimita il contesto di una specifica manifestazione della cultura di un popolo risulta sempre contestabile e perciò rivedibile (sia per restringere e sia per allargare): perché Dreyfus, Herzl e il sionismo non ritroverebbero le proprie ragioni se non risalissimo all'epoca delle Crociate, alla filosofia della Santa Inquisizione, alla cacciata dalla penisola iberica, ai pogrom subiti in Russia, ecc..
Per cui, la scelta operativa di rimontare così indietro nel tempo, alla ricerca delle cause profonde, comporterebbe di contro l'estensione della riflessione agli avvenimenti verificatisi successivamente, come momenti intimamente collegati fra loro: il massacro di Hebron del 1929, la costruzione del sistema concentrazionario nel cuore del Vecchio Continente, il Farhud in Iraq nel 1941.
Non è un rasentare le posizioni insostenibili degli antisemiti e non è di per sé diffamante il fatto di porsi, se vogliamo anche nella maniera più risoluta, un problema di tipo squisitamente storiografico: il diritto all'autodeterminazione in chiave statuale del popolo ebraico si concretizzò sulla base di una sorta di "concessione" stabilita comunque sui tavoli degli organismi internazionali, perciò come conseguenza di decisioni politiche di natura diplomatica.
Ma è proprio così che sarebbe dovuto sorgere quello Stato? E più in generale, è così che devono sorgere gli Stati? Non è di sicuro lo spazio di questo articolo il luogo propizio per elaborare le risposte a queste due domande ma è certo che ne riparleremo presto.
Il Sionismo è stato in origine un movimento squisitamente politico: si partì dall'assunto per il quale era ormai assolutamente necessario guardare alla situazione degli Ebrei, soprattutto da parte degli intellettuali della stessa etnia, di fronte all'ennesima ondata di antisemitismo che imperversava in Europa.
Come è noto, durante un periodo di venti secoli e passa di esilio, gli Ebrei hanno sempre conservato la fede e la speranza del sionismo religioso. La loro forza è sempre stata nella Fede. Il segreto di tanta capacità di resistenza nel loro credere davvero in Dio.
Tuttavia, era altrettanto risaputo che l'antisemitismo emerso in Europa aveva le sue radici nell'antisemitismo storico-sociale e, più nello specifico, economico. Inoltre gli intellettuali ebrei ritenevano che un ideale basato su una base religiosa (il sionismo religioso, appunto) non sarebbe stato molto gradito al pubblico europeo e quindi una Europa già ampiamente secolarizzata negli ambienti che contavano non avrebbe sostenuto la realizzazione di questo ideale.
La laicizzazione comportava il fastidio verso ogni forma di interiorizzazione spirituale. In quel caso era necessario astrarre il sionismo dalla sua identità religiosa (come se ciò potesse essere davvero possibile) e dargli un'identità e un aspetto politico e nazionale secondo le esigenze laiciste dell'epoca. Perché il XIX secolo fu l'era delle nazioni e del nazionalismo (l'era della politicizzazione dei sentimenti e persino della religiosità degli uomini).
Pertanto, gli intellettuali ebrei credevano che svolgere le loro attività politiche non sulla base della comunità religiosa, ma sulla base della comunità etnica o nazionale, cioè della nazione, sarebbe stato un approccio più moderno in termini di raggiungimento dei loro obiettivi(13).
Per questo furono essenziali la propaganda e l'organizzazione politica attraverso pubblicazioni scientifiche e politiche. Perché questo era uno dei modi più importanti per internazionalizzare e politicizzare la "questione ebraica" e portarla nel campo della diplomazia. In questo caso si sarebbe potuto facilmente spiegare agli ambienti diplomatici e intellettuali europei che esisteva una nazione ebraica e che quindi essi avevano bisogno di una patria e di uno Stato e che, quando questa esigenza fosse stata soddisfatta, quando cioè venisse fornita una patria degli Ebrei, la "questione ebraica", per molti aspetti "maledetta", per l'Europa sarebbe scomparsa.
In effetti, in questo modo gli Ebrei fecero accettare all'Europa di essere una nazione. Era giunto il momento di acquisire prima una patria e poi di fondare uno Stato.
Dove sarebbe potuta sorgere la loro patria? La risposta a questa domanda fu sostanzialmente univoca: senza dubbio la Palestina. Tuttavia non avevano né terra sufficiente e né popolazione sufficiente in Palestina su cui basare le loro attività diplomatiche e politiche. Il percorso da seguire per fornire questi due elementi fondamentali in Palestina avrebbe dovuto essere il seguente:
1) convincere l'Impero Ottomano con vari mezzi a consentire agli Ebrei di emigrare in Palestina;
2) se ciò non fosse avvenuto, costringere la Sublime Porta ad accogliere gli immigrati ebrei in Palestina, sotto la pressione degli stati europei;
3) se questi due metodi non avessero sortito risultati, acquistare (anche eventualmente segretamente e illegalmente) terreni in Palestina e insediarvi gli immigrati ebrei il più presto possibile.
Come ho già indicato sopra, è molto probabile che le grandi potenze, soprattutto le organizzazioni sioniste inglesi e i loro sostenitori ebrei, fossero a conoscenza di questo piano Oliphant composto da 33 punti.
Questi ambienti pensavano di insediare gli Ebrei in Palestina, come nel 1492, basandosi sulla presunta malleabilità e tolleranza dello Stato turco. Con la realizzazione di questo piano, l'Europa si sarebbe potuta liberare prima degli Ebrei e della "questione ebraica", poi gli Ebrei avrebbero avuto una patria, forse uno Stato in futuro e infine l'Europa avrebbe stabilito una nuova società etnica o religiosa in Palestina, dove avrebbe avuto il diritto di intervenire negli affari ottomani o in quelli mediorientali.
Quindi c'erano pochi dubbi sul fatto che per l'Europa gli Ebrei fossero utili strumenti all'attuazione del piano. È certo che soprattutto alcuni fra gli Stati occidentali si sono approfittati degli Ebrei così come si sono approfittati dei Serbi, dei Bulgari, dei Greci e degli Armeni per attaccare e cercare di disintegrare l'impero ottomano e proteggere i propri interessi.
Le colpe degli Inglesi, da questo punto di vista, andrebbero ripensate. Anche gli Ebrei volevano trarre vantaggio da questa debolezza dell'Europa e fondare una propria patria e uno Stato. Pertanto, l'Occidente avrebbe preso due piccioni con una fava e gli Ebrei avrebbero catturato un uccello lanciando per aria molte pietre.
(1) Hertz Imber in Palestina pubblicò poesie, articoli e satire. Nel 1888 ritornò in Europa, ma la sua natura inquieta lo riportò presto in Oriente dove vagò fino a Bombay. Nel 1892 andò negli Stati Uniti. Dopo una breve visita a Londra, ritornò in America, dove trascorse il resto della sua vita nello squallore, nella miseria e nell'alcolismo. Morì a New York nel 1909, ma soltanto nell'aprile 1953 i suoi resti vennero traslati a Gerusalemme, presso il cimitero di Har HaMenuchot. "HaTikva", pubblicato per la prima volta come Tikvatenu ("La nostra speranza") nel primo volume di poesie di Imber, è datato "Gerusalemme 1884".
(2) Fiorirono in quegli anni le organizzazioni sioniste in tutta l'Inghilterra, nelle cui sedi associative si esaminarono e discussero i 33 punti del piano di Oliphant: si dava lì come scontato che si riuscisse a insediare gli Ebrei in Palestina, come già avvenuto ad esempio nel 1492. Occorreva però ottenere un atteggiamento quantomeno di tolleranza da parte dei rappresentanti dello Stato turco.
(3) Abdül-Hamid II, detto il Gran Khan, fu il trentaquattresimo sultano dell'Impero Ottomano, dal 1876 al 1909. Ebbe sedici consorti, le quali gli diedero otto figli maschi e tredici figlie femmine. In teoria, Abdülhamid II avrebbe potuto anche mostrarsi favorevole a che si procedesse progressivamente all'insediamento di quote definite di immigrati ebrei nelle regioni in cui vi erano molte terre deserte e incolte all'interno dell'Impero Ottomano. Ma quando si trovò al cospetto della proposta scritta di insediare e concentrare tutte quelle persone in un'area limitata del territorio palestinese non poté fare a meno che mostrare apertamente tutta la sua ferma contrarietà. Se ciò fosse accaduto, sarebbe poi stato molto probabile che venisse autorizzata la nascita di uno Stato ebraico indipendente nella regione mediorientale.
(4) Al cospetto del sultano si presentò lo stesso Oliphant, il quale argomentò con passione le ragioni che lo avevano indotto a elaborare il piano per la colonizzazione ebraica della regione palestinese.
(5) È molto probabile che l'ispirazione venne a Hertz Imber grazie alle intense interlocuzioni avute con uno studioso ebreo locale, nativo di Iasi, con cui strinse una proficua collaborazione intellettuale.
(6) Nel 1884 infatti venne ufficialmente annunciata la scoperta archeologica dell'importante ritrovamento del sito di Petah Tikva, annuncio che galvanizzò la mente fertile di Hertz Imber.
(7) In realtà la composizione musicale dell'Inno è basata sulla struttura di un brano di epoca rinascimentale, "La Mantovana". Il fraseggio è comunque in qualche modo collegato anche al brano "Vlatva" di Bedrich Smetana, autore romantico ceco. Il riarrangiamento della melodia venne fatto nel 1888 da Shmuel Cohen.
(8) La sillabazione del testo originale della poesia segue le regole del linguaggio ashkenazita. A livello di contenuto, l'autore volle elaborare una sorta di risposta poetica, laddove si afferma nel famoso ritornello che «La nostra speranza non è ancora perduta», a un versetto contenuto in un capitolo profetico del libro di Ezechiele.
(9) Una delle versioni più accattivanti di HaTikvah è quella del concerto tenuto dalla famosa cantante americana Barbra Streisand, il 20 giugno 2013, allo stadio Bloomfield di Jaffa, a Tel Aviv.
(10) Basilea, 23-28 agosto 1903.
(11) Da parecchio tempo infatti Hertz Imber gli stava alle costole per cercare di convincerlo ad accettare la sua proposta di usare il suo prodotto poetico come motivo ufficiale del movimento.
(12) La Knesset emanò formalmente la Legge sulla Bandiera e sull'Emblema mediante l'Emendamento n. 4 del 2004.
(13) Questo, d'altro canto, è uno dei segni concettualmente più rilevanti dell'intero movimento del modernismo.
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