EXCALIBUR 162 - dicembre 2023
in questo numero

"I redenti - Gli intellettuali che vissero due volte"

Mirella Serri racconta le storie di fascisti che, caduto il regime, proliferarono nelle fila antifasciste

di Antonello Angioni
<b>Mirella Serri</b>, 'I redenti', ed. Corbaccio
Mirella Serri, "I redenti", ed. Corbaccio
Ci sono persone che cambiano partito per amore delle proprie idee e persone che cambiano le idee per amore del proprio partito. Ci sarebbe da chiedersi se e dove stia la coerenza. E poi c'è il grande esercito di trasformisti, opportunisti e conformisti, attenti solo alla cura del proprio interesse personale, del "particulare", pronti sempre a salire sul carro del vincitore (o ritenuto tale).
In questo contesto, può essere utile la rilettura, in chiave critica, del libro di Mirella Serri, "I redenti", pubblicato nel 2005 dall'editore Corbaccio nella collana storica diretta da Sergio Romano. Il libro analizza, con dovizia di particolari, il percorso compiuto da quegli intellettuali che, dopo aver collaborato con i quotidiani e le riviste del regime fascista, passarono all'antifascismo e poterono continuare la loro attività in modo indolore.
Per individuare gli intellettuali interessati dalla metamorfosi in questione, è sufficiente leggere l'elenco dei collaboratori di "Primato", la rivista fondata e diretta da Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione nazionale. Scorrendo la lista troviamo tanti "padri" (e anche qualche "madre") dell'Italia democratica: da Sibilla Aleramo a Corrado Alvaro, da Vitaliano Brancati a Dino Buzzati, da Leo Longanesi a Guido Piovene, da Vasco Pratolini a Giaime Pintor, da Giovanni Comisso a Giuseppe Dessi, da Salvatore Quasimodo a Renato Guttuso, da Marcello Piacentini a Giulio Carlo Argan, da Indro Montanelli a Carlo Muscetta, da Giorgio Spini a Luigi Salvatorelli. E tanti altri ancora.
La rivista vide la luce nel marzo del 1940 al preciso scopo di costruire la nuova classe dirigente che, al termine della guerra, avrebbe dovuto prendere le redini del Paese assumendo funzioni di alta responsabilità. Bottai, in effetti, superando distinzioni di tendenza, riuscì a catturare le migliori intelligenze presenti nella cultura italiana del tempo. Tant'è che "Primato" raccolse oltre 250 firme di scrittori, architetti, urbanisti, musicisti, pittori, filosofi, giornalisti, cineasti ecc..
Per essi la caduta del fascismo non rappresentò un dramma: senza soluzione di continuità divennero comunisti, democristiani, liberali e così via e continuarono a svolgere indisturbati le loro attività. Tale fenomeno determinò una sostanziale continuità della cultura italiana nel momento in cui il Paese - a seguito dell'armistizio, della resistenza e della lotta di "liberazione" - cambiava le sue istituzioni e rinnovava la classe politica.
Norberto Bobbio nella sua autobiografia, nel descrivere il fenomeno, osservò: «Dopo non siamo più stati come eravamo prima. La nostra vita è stata divisa in due parti». In pratica quegli intellettuali "vissero due volte": dapprima nell'Italia fascista e poi nell'Italia democratica. Quando, nel 1938, furono emanate le leggi razziali, gli stessi furono dalla parte del potere (il regime) e quando, dieci anni dopo, venne approvata la Costituzione della Repubblica li ritroviamo ancora una volta dalla parte del potere (questa volta l'Italia democratica).
Furono semplicemente dei filocrati? Può affermarsi che la grande forza dei nostri intellettuali è stata (ed è) la loro fragilità morale? In realtà, la risposta non può essere univoca e uguale per tutti. Si tratta di storie individuali e di percorsi talvolta assai diversi, anche in considerazione dell'alto numero delle persone che furono coinvolte, a tutti i livelli, dal fenomeno. L'unica cosa che li accomuna è che ebbero la "fortuna" di poter passare dolcemente, senza strappi e patemi d'animo dal fascismo all'antifascismo, restando l'intellighenzia dell'Italia.
Insomma, dopo tanti anni, occorre rileggere il libro di Mirella Serri per trovare le "ragioni" di ciascuno di loro (condivisibili o meno che siano). L'autrice ha risistemato le tessere di un mosaico che racchiude un tratto della nostra storia fino a oggi non ancora interamente ricostruito. Nella sostanza è quel decennio che va all'incirca dal 1938 al 1948.
Certo è che ci fu una politica di grande apertura, un tendere le braccia agli intellettuali transfughi dalla dittatura fascista senza fare troppi distinguo sui loro percorsi. Quella politica, del resto, soprattutto dopo la "svolta di Salerno", era stata voluta anche dal segretario del Pci Palmiro Togliatti, in ciò in contrasto con parte della vecchia dirigenza del partito che avrebbe preferito un periodo di "quarantena" e poi di messa sotto osservazione finalizzato a una rieducazione di quegli intellettuali che, a diverso titolo, furono di supporto al fascismo. Quella di Togliatti fu un'operazione di così ampio raggio che finì per allarmare persino gli "Alleati", che denunciavano il partito comunista come il più disponibile ad accogliere gli ex fascisti.
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